Mario Draghi: politika ekonomikoa

Draghi e la pandemia

Chi è Mario Draghi, ex governatore della Bce, tifoso della Roma e scacchista online: come la pensa su pandemia, giovani e futuro

Con lo scoppio della pandemia di Coronavirus, a marzo 2020, Draghi indirizza il dibattito economico con una sola frase: «Livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie». Dunque nessuna idea di austerità, ma un debito necessario1 e «auspicabilmente sostenibile». E ancora: «Lo shock che ci troviamo ad affrontare non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di chi la soffre. Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile. La memoria delle sofferenze degli europei negli anni 1920 sono un ammonimento», spiega Draghi.

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Renzi, Draghi e le classi dominanti europee

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-renzi_draghi_e_le_classi_dominanti_europee/39602_39603/

(…) Tornando alla situazione politica attuale, è evidente che le élites europee, costrette, dalla consapevolezza che la crisi che stiamo vivendo possa minare le basi del loro potere, ad erogare al nostro Paese circa 209 miliardi di Euro ripartiti in prestiti (127,4) e sussidi (81,4), nutrano qualche dubbio sul governo Conte. In particolare sul fatto che il tutto da dimostrare “sentimento fortemente anti-industriale” del governo possa far prendere alle risorse del Recovery Fund una direzione non proprio compatibile con gli interessi delle classi dominanti europee.

Così, per avere una assoluta garanzia che le risorse del Recovery Fund non prendano una direzione contraria

agli interessi, ai privilegi e all’ideologia dell’élite, è necessario far cadere Conte e sostituirlo con una figura come Mario Draghi, che ha trascorsi in Goldman Sachs come Monti e che sa sicuramente come gestire e dove indirizzare tali risorse.

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Recovery, reddito, imprese: la politica economica di Mario Draghi deciderà la composizione del governo

https://www.open.online/2021/02/07/recovery-reddito-imprese-la-politica-economica-di-mario-draghi-decidera-la-composizione-del-governo/

(…) Tutti i numeri del Recovery Plan

Facciamo due conti. Per l’Italia il Recovery Plan prevede circa 80 miliardi di euro in sovvenzioni e 120 miliardi in prestiti. Per farsi un’idea della dimensione di queste cifre, consideriamo che in Italia il fatturato annuo della sola industria del turismo è di circa 232 miliardi, il 13,2% del Pil e il 15% degli occupati (dati 2018). Nel corso di un’audizione alla Camera, gli operatori del settore hanno spiegato che il crollo delle presenze nel 2020 ha prodotto una perdita di valore della produzione di 100 miliardi di euro. Perciò, se a causa della campagna vaccinale che procede a rilento l’Unione europea vivesse un’altra stagione di vacanze primavera-estate con le limitazioni dell’anno scorso, per l’Italia la perdita avrebbe un effetto pari a mezzo Recovery Plan.

Inoltre, per funzionare il Recovery Plan dovrà essere accompagnato da riforme economiche di ogni tipo. Riforme strutturali, divisive, complesse, da attuare con la competenza necessaria a evitare incidenti giuridici e costituzionali. Cose difficili da realizzare nel pieno di una crisi, specialmente se sei a capo di un governo che deve mettere Berlusconi, Salvini, Renzi, Di Maio e Zingaretti e altri ancora tutti insieme nella stessa stanza (e forse non solo metaforicamente). Se poi aggiungiamo che il Recovery Plan prevede un’esecuzione pluriennale – fino al 2026 – con controlli semestrali della Commissione europea, e che Draghi resterà a Palazzo Chigi al massimo fino al 2023, stiamo parlando di una missione ai limiti dell’impossibile.

Se il governo Draghi riuscirà nell’impresa di mettere l’Italia sulla strada della crescita e della produttività, a quel punto, oltre ad aver salvato il Bel Paese avrà anche risolto la maggior parte dei problemi dell’eurozona. Il successo o meno del Recovery Plan italiano infatti avrà implicazioni dirette sul futuro del progetto europeo, creando le condizioni per estendere la mutualizzazione del debito a quello già esistente: una rivoluzione. Chi ha lavorato con Draghi nel direttivo della Bce ha detto che quando deve portare avanti le sue idee, l’italiano è come un bulldozer. Mettere insieme i partiti italiani però sarà molto più ostico che lavorare come leader di un gruppo selezionato tra i migliori economisti dell’eurozona.

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G30, il think tank presieduto da Draghi dove troverete molte risposte

(L’OBIETTIVO DI MARIO DRAGHI: LIBERARE LA “DISTRUZIONE CREATIVA” DEL MERCATO)

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lobiettivo_di_draghi_liberare_la_distruzione_creativa_del_mercato/39130_39610/

Molto si chiedono quale sarà la filosofia di politica economica a cui si ispirerà il nascente governo Draghi.

Diversi commentatori – basandosi su un’interpretazione assolutamente fallace dell’operato di Draghi alla BCE (l’idea che le politiche monetarie espansive rappresentino una politica “keynesiana”); su un suo ormai celebre articolo di qualche mese fa sul Financial Times, in cui Draghi ha sdoganato il debito pubblico (quello “buono”); e in alcuni casi, persino tirando in ballo i suoi studi con uno dei più grandi economisti keynesiani del secolo scorso, Federico Caffè – sembrano convinti che Draghi si muoverà nel solco di una politica sostanzialmente espansiva, addirittura, appunto, “keynesiana”.

Insomma, una politica opposta a quella austeritaria di Monti. Ma è lo stesso Draghi a smentire queste previsioni ireniche nella sua ultima uscita pubblica, ovvero il recentissimo rapporto sulle politiche post-COVID redatto dal G30 – ufficialmente un think tank, fondato su iniziativa della Rockefeller Foundation nel 1978, che fornisce consulenza su questioni di economia monetaria e internazionale, secondo molti un centro di lobbying dell’alta finanza – presieduto proprio da Draghi insieme a Raghuram Rajan, ex governatore della banca centrale indiana.

In esso si dice chiaramente che i governi non dovrebbero sprecare soldi per sostenere le aziende che purtroppo sono destinate al fallimento, definite nel rapporto “aziende zombie” – pensiamo per esempio, per quello che riguarda l’Italia, alle centinaia di migliaia di negozi e di esercizi pubblici messi in ginocchio dalla pandemia e dalle relative misure di contenimento della stessa e solo parzialmente puntellati dagli insufficienti “ristori” del governo –, ma dovrebbero piuttosto assecondare la “distruzione creativa” del libero mercato, lasciando queste aziende al loro destino e favorendo lo spostamento dei lavoratori verso le imprese virtuose che continueranno a essere redditizie e che si svilupperanno dopo la crisi.

La tesi di fondo è che il mercato debba essere lasciato libero di agire (perché più efficiente del settore pubblico) e che i governi dovrebbero limitarsi a intervenire solo in presenza di conclamati «fallimenti del mercato» – concetto intrinsecamente liberista che sta a indicare una deviazione rispetto alla normale “efficienza” del mercato –, mentre laddove è un’impresa a fallire per il “naturale” operato del mercato, lo Stato non dovrebbe mettersi di traverso.

Nel documento del G302 ci si concentra anche sul mercato del lavoro, scrivendo che «i governi dovrebbero incoraggiare aggiustamenti nel mercato del lavoro […] che richiederanno che alcuni lavoratori dovranno cambiare azienda o settore, con appropriati percorsi di riqualificazione e assistenza economica». Il messaggio è chiaro: i governi non dovrebbero cercare di impedire le espulsioni di forza-lavoro dalle aziende destinate al fallimento, come in Italia e in diversi altri paesi si è tentato finora di fare, in parte, con il blocco dei licenziamenti (in scadenza a marzo) e il largo ricorso alla cassa integrazione. Piuttosto, dovrebbero assecondare e agevolare questo processo per permettere al mercato di provvedere ad una “efficiente” allocazione di risorse (tra cui gli esseri umani).

Come nota l’economista Emiliano Brancaccio, siamo di fronte a «una visione “schumpeteriana” in salsa liberista che rischia di lasciare per strada una marea di disoccupati», nonché a gettare nella disperazione centinaia di migliaia imprenditori piccoli e medi. Altro che Keynes (o Caffè!): la visione di economia e di società incarnata nel documento del G30 – e implicitamente sposata da Draghi – sembra ricordare l’ideologia liberista degli albori, giustamente messa in soffitta in seguito al secondo conflitto mondiale, in cui i rapporti sociali, la vita delle persone, l’essenza stessa della società venivano subordinati ad un unico principio regolatore, quello del mercato. Trattasi di una visione non solo esecrabile dal punto di vista etico e morale, ma anche falsa: non esiste un mercato che opera “esternamente” allo Stato, in base a una sua logica autoregolante, rispetto al quale lo Stato può decidere se intervenire o meno; i mercati, al contrario, sono sempre un prodotto della cornice legale, economica e sociale creata dallo Stato.

In altre parole, non c’è nulla di “naturale” nel fatto che una certa azienda fallisca piuttosto che un’altra. Se oggi le piccole attività rischiano la chiusura, mentre le grandi multinazionali macinano profitti da capogiro, è unicamente una conseguenza del fatto che come società ci siamo dati un principio organizzativo – che Draghi oggi punta a rafforzare – che privilegia le grandi imprese private rispetto alle piccole attività. Ma si tratta, appunto, di una scelta politica.

Inutile dire che la visione di società del G30 e di Draghi è letteralmente agli antipodi della visione di Keynes e di Caffè – nonché di quella incarnata nella nostra Costituzione, che si appresta ad essere nuovamente stuprata – secondo cui il compito dello Stato è quello di dominare e governare i mercati, e l’opera distruttiva degli stessi, subordinandoli ad obiettivi di progresso economico, sociale, culturale, umano.

Abbiate almeno la decenza di non accostare i loro nomi a quello di Draghi3.

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Come difendersi dall’europeismo totalitario

(https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-come_difendersi_dalleuropeismo_totalitario/39130_39633/)

“La politica per loro non è mai ironia, comicità, non si chiedono mai da dove nascano la satira e il grottesco.” diceva Gianroberto Casaleggio. E in questi giorni di deliri orgiastici per Draghi da parte dei media, il Re è veramente nudo. Come illustrava magistralmente un Maestro della satira politica, Dario Fo:  “La satira è un’espressione che è nata proprio in conseguenza di pressioni, di dolore, di prevaricazione, cioè è un momento di rifiuto di certe regole, di certi atteggiamenti: liberatorio in quanto distrugge la possibilità di certi canoni che intruppano la gente.”

Dalla Fontana di Trevi che getta monetine quando passa Draghi alle capacità miracolose di moltiplicare i derivati, i social si sono scatenati negli hashtag #QuellaVoltaCheDraghi, #DraghiFaCose, satireggiando sul processo di beatificazione che la comunicazione mainstream vorrebbe imporre.

(…)

La narrazione su Draghi ha portato i media ad un ulteriore salto di qualità che va analizzato nel dettaglio perché dimostra da un lato la disperazione, dall’altro una strategia precisa che mira alla restaurazione e che ha ottenuto già due successi.  

La disperazione è proprio figlia della consapevolezza di non essere in grado di indirizzare l’opinione pubblica e questo li porta anche a superare il ridicolo per rendere l’opzione Draghi il “whatever it takes” per il futuro del paese.

La strategia è più sottile: rendere Draghi l’unica persona in grado di salvare il paese significa annullare definitivamente una classe politica già ampiamente indebolita e lacerare ulteriormente il partito, forse l’unico, che ha mostrato una vena progressista e di cambiamento reale negli ultimi anni in Italia, il Movimento 5 Stelle.

Comunque vada – eccolo il primo successo – la forza creata da Grillo e Casaleggio, già ampiamente ridimensionata nella spinta progressista dall’esperienza di governo, vivrà un drammatico momento nella votazione sulla piattaforma Rousseau prevista per il 10-11 febbraio. Qualunque sarà l’esito, è sempre più certo come si vada verso una spaccatura e quindi un ulteriore indebolimento. E a quel punto cosa resterà a livello politico ad opporsi in modo credibile al Governo Draghi? Piccoli atomi in perenne conflitto tra loro incapaci di arrivare all’opinione pubblica.

La strategia per la restaurazione ha poi segnato un altro punto a suo favore: il trionfo  – secondo successo -dell’europeismo che non è più di destra o di sinistra (come dimostra la facilità della conversione per la via di Bruxelles di Salvini), ma è semplicemente il vero padrone totalitario del paese.

Dal giorno dopo l’insediamento di Draghi la politica non esisterà più. Esisterà solo l’europeismo totalitario. Quando le cose andranno bene sarà merito del nuovo premier e dei suoi tecnici, quando ci saranno intoppi sarà colpa della politica ancora troppo poco efficiente per l’europeismo dominante.

Restano nello sfondo alcune domande che vengono ignorate. Le poniamo noi affinché possiate almeno riflettere. Non ci resta altro al momento.

Ma di quale europeismo stiamo parlando?

Cos’è l’europeismo?

Quello della Troika che ha distrutto lo stato socioeconomico in Grecia?

Quello che riceve il golpista Guaido’ o sostiene il blogger russo di estrema destra che viola la legge di uno Stato Sovrano?

Quello che impedisce di consultare i documenti dei trattati internazionali di libero scambio o i contratti per i vaccini?

O che dovrebbe prestarci una “pioggia di miliardi” con la condizione di attuare le riforme che “l’Europa ci chiede”?

Al netto dei vincoli, il differenziale tra l’emissione di nuovi titoli e il ricorso al Recovery Fund porterebbe 6-7 miliardi in più l’anno, poco più del finanziamento del Reddito di Cittadinanza. Cos’è quindi questo dogma europeista, cosa significa questa professione di fede?

L’europeismo è un’ideologia totalitaria. Della peggiore specie. Ha avuto paura, realmente, in Italia dopo le elezioni del 2018 e ha reagito con una strategia sottile, determinata e che ha avuto successo perchè ha saputo sfoderare la sua “opzione nucleare”.

Con Draghi inizia la restaurazione e i media dominanti saranno disposti ad andare oltre il ridicolo per sostenerla in tutti i modi possibili. Questa è la dura realtà da cui partire. Ci attendono tempi di riflessione e contro-strategia che non può basarsi solo sulla satira, servono visioni alternative di società e spazi politici che dobbiamo occupare. Alla restaurazione del 1814-1815 si deve il sostrato sociale e culturale che portò al Manifesto di Marx e Engels del 1848. Sarà una lunga resistenza. Prepariamoci.

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Draghi? Il semidio per chi pensa in piccolo

(https://www.retemmt.it/draghi-il-semidio-per-chi-pensa-in-piccolo/?ct=t(Draghi)&mc_cid=201761e63a&mc_eid=f16568e658)

Non ci accaniremo sul nome, sul quale si potrebbe dire tanto (come abbiamo fatto in questi anni). Il problema in questa fase è lo spazio percettivo all’interno del quale si sta sviluppando l’ennesima ferita alla democrazia (residua). Si tratta ormai di una ferita aperta, che restringe sempre più lo spazio percettivo della collettività.

Nel frame teorico della scarsità dei soldi, della colpa di un eventuale spreco di ciò che è scarso, concesso con il contagocce (e meritato con il sangue), l’appello all’unità esercita un richiamo al quale è difficile sottrarsi. In uno spazio percettivo ristretto non ci sono punti di vista differenti, interessi diversi, dibattito, dialettica: il tempo stringe, le “occasioni” si perdono, le risorse scappano. Il dibattito si azzera e l’appello alla responsabilità appiattisce la visuale alle due sole alternative responsabili o irresponsabili?

Questa è la trappola del Recovery Fund. Il ricatto di perdere l’occasione di sempre.

Difficile tenere botta al coro unanime sull’unità del Paese in questo momento drammatico se non si allarga lo spazio percettivo. Le risorse finanziarie non sono scarse. È vero, i problemi del Paese richiedono una risposta tempestiva e competente, ma la competenza dei capi di Governo non sta nel “trovare” le risorse finanziarie o convincere qualcuno a elargirle, è piuttosto la capacità di progettare politiche in grado di aumentare i posti di lavoro, non lasciare indietro nessuno, migliorare la qualità di vita delle persone e, per restare in tema pandemia, rafforzare la risposta del sistema sanitario di fronte alle emergenze.

In un contesto (volutamente) di risorse scarse, il ruolo del tecnico assume un ruolo di semidio; solo loro sanno trovare qualche centesimo in più tra le virgole dei regolamenti europei, solo loro sono in grado di ottenere un via libera della Commissione europea. Ciò che verrà percepito come autorevolezza altro non sarà che una negoziazione di deficit in cambio di riforme. Questo è meglio di niente? Certo, se si resta all’interno dello spazio percettivo di questa narrazione.

Qualsiasi Governo non sarebbe stato in grado con una coperta corta di dare una risposta alla vastità dei problemi causati dalla pandemia. Anche il Governo più competente. La responsabilità del Governo uscente è stata quella di tacere sul fatto che quella coperta era corta. Anzi! L’ha descritta come estesa e abbondante (la narrazione della pioggia di miliardi del Recovery Fund). Chi di coperta abbondante ferisce di coperta abbondante perisce. E saranno i tecnici a gestire coperte abbondanti quando la politica non è in grado.

Lo abbiamo scritto più volte nell’ultimo anno: era necessario prendersi tutti gli spazi che la sospensione del patto di stabilità concedeva e contemporaneamente denunciare che quei vincoli altro non sono che sagome di carta, non realtà. Se non si dice esplicitamente che l’ampliamento del deficit non causa in natura nessuna delle catastrofi naturali narrate nei testi europei, si cade vittime dello spazio percettivo ristretto e delle minacce sul come “rientrare” dal debito generato. Non esiste un problema di tenuta dei conti pubblici quando la Banca Centrale fa il suo mestiere (almeno una parte del suo mestiere). In uno Stato che non è monopolista della valuta, la colpa è attribuita sempre al fallimento della politica invece che all’assurdità del sistema. Ma il tecnico prende sempre e solo decisioni politiche: le priorità del Paese sono una scelta politica, fare una riforma o non farla è una scelta politica. L’interesse generale, a cui si rifanno gli appelli all’unità, altro non sono che interessi di parte a cui è data una priorità rispetto agli altri. In uno spazio percettivo non si riesce a vedere che l’oggettività è la soggettività del più forte. La narrazione della scarsità dei soldi riduce lo spazio percettivo con cui le persone interpretano la realtà, definiscono le priorità, ripensano la democrazia. E dimenticano la storia.

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Eta Europa, Eurolandia? Zertan dabil?

Zer planteatzen du sasi ezkerrak, Euroguneko Distopian?

Zipriztin batzuk, Italian gertatzen ari denaz jabetzeko

a) Aspaldian Euroguneko Itun ofizial guztien gainetik Mario Draghi-k bere Whatever it takes asmatu zuen: QE eta diru laguntzak bultzatuz, Alemanian hasi, baina Grezian ez. Helburua euroa salbatzea izan zen

b) Europako ‘ezkerra’ ilargian

c) Italian Diru Teoria Moderno-koek (Modern Money Theory) aparteko lan teorikoa egin zuten

d) Ondorio gisa, teorikoki, Italexit eta… Eurexit planteatu zen

e) Eurogunean (eta Italian) Brusela-k oso neoliberala den Recovery Fund4 delako amua zabaldu du

f) ‘Ezkerra’, berriz, ilargian, eta amua irentsi

g) Italian Italexit-eko mugimendu politiko bat martxan jarri da

h) Italian ‘teknikari’ bat, aka, Mario Draghi, azaldu dute ekaitza baretzearren, berriro, euroa salbatzeko asmoarekin

Horixe da joko zelaia!

Eta Euskal Herri osoko sasi ezkerra, zertan ari da?

Ba ote daki zer dagoen jokoan?

Enteratu al da ezertaz?


3 EL OBJETIVO DE MARIO DRAGONES: LIBERAR LA ′′ DESTRUCCIÓN CREATIVA ′′ DEL MERCADO

Mucho se preguntan cuál será la filosofía de política económica en la que se inspirará el naciente gobierno Dragones.

Diferentes comentaristas – basándose en una interpretación totalmente falaz de la actuación de Draghi al BCE (la idea de que las políticas monetarias expansivas representan una política ′′ keynesiana ′′); en un artículo de hace unos meses célebre en el Financial Times, donde Draghi despachó el Deuda pública (la ′′ buena ′′); y en algunos casos, incluso lanzando sus estudios con uno de los economistas keynesianos más grandes del siglo pasado, Federico Caffè – parecen convencidos de que Draghi se moverá en el surco de una política sustancialmente expansiva, incluso, Exactamente, ′′ keynesiana “.

Quiero decir, una política opuesta a la austeritaria de Monti.
Pero es el mismo Draghi el que niega estas predicciones irénicas en su última salida pública, es decir, el reciente informe de políticas post-COVID elaborado por el G30 – oficialmente un think tank, fundado por iniciativa de la Fundación Rockefeller en 1978, que asesora sobre cuestiones de economía monetaria e internacional, según muchos un centro de presión de alta finanza – presidido precisamente por Draghi junto con Raghuram Rajan, ex gobernador del banco central indio.

En él se dice claramente que los gobiernos no deberían gastar dinero en apoyar a las empresas que, desgraciadamente, están destinadas al fracaso, definidas en el informe ′′ empresas zombies ′′ – pensamos, por ejemplo, en lo que concierne a Italia, en los cientos de miles de tiendas y de ejercicios públicos puestos de rodillas por la pandemia y sus medidas de contención de la misma y solo parcialmente apuntados por los insuficientes ′′ ristores ′′ del gobierno -, pero deberían más bien conformar la ′′ destrucción creativa ′′ del libre mercado, dejando a estas empresas a su destino y favoreciendo el desplazamiento de los trabajadores a las empresas virtuosas que seguirán siendo rentables y que se desarrollarán después de la crisis.

La tesis básica es que el mercado debe dejarse libre para actuar (porque es más eficiente que el sector público) y que los gobiernos deberían limitarse a intervenir solo en presencia de fracasos del mercado – concepto intrínsecamente liberista que indica una desviación respecto a la ′′ eficiencia ′′ normal del mercado -, mientras que una empresa falla por lo ′′ natural ′′ del mercado, el Estado no debería ponerse de pie.

En el documento del G30 también se centra en el mercado laboral, escribiendo que ′′ los gobiernos deberían fomentar ajustes en el mercado laboral […] que exigirán que algunos trabajadores tengan que cambiar de empresa o sector, con las rutas de reciclaje y asistencia económica apropiadas “. El mensaje es claro: los gobiernos no deberían tratar de impedir las expulsiones de mano de obra de las empresas de quiebra, como en Italia y otros países, hasta ahora se ha intentado hacer parcialmente con el bloqueo de despidos (vencido en marzo) y el amplio recurso a la caja de integración. Más bien, deberían apoyar y facilitar este proceso para que el mercado garantice una ′′ eficiente ′′ asignación de recursos (incluyendo seres humanos).

Como nota el economista Emiliano Brancaccio, estamos ante ′′ una visión ′′ Schumpeteriana ′′ en salsa liberista que corre el riesgo de dejar en la calle a una marea de desempleados “, y a tirar a cientos de miles de pequeños y medianos empresarios. Más que Keynes (o Caffé! ): La visión de economía y sociedad encarnada en el documento del G30 – e implícitamente casada por Draghi – parece recordar la ideología liberista de los árboles, justamente puesta en el ático después del segundo conflicto mundial, donde las relaciones sociales, la vida de las personas, La esencia misma de la sociedad estaba supeditada a un único principio regulador, el del mercado. Tratándose de una visión no solo execrable desde el punto de vista ético y moral, sino también falsa: no existe un mercado que opera ′′ externamente ′′ al Estado, según su lógica autorregulante, respecto al cual el Estado puede decidir si interviene o no ; los mercados, por el contrario, siempre son producto del marco legal, económico y social creado por el Estado.

En otras palabras, no hay nada ′′ natural ′′ en que una empresa falla en lugar de otra. Si hoy las pequeñas actividades corren el riesgo de cierre, mientras que las grandes multinacionales molen beneficios mareos, es sólo consecuencia de que como sociedad nos hemos dado un principio organizativo-que Draghi tiene como objetivo reforzar-que privilegia a las grandes empresas privadas respecto a las pequeñas actividad. Pero es precisamente una elección política.

No hace falta decir que la visión de sociedad del G30 y de Draghi está literalmente en las antípodas de la visión de Keynes y de Café – así como de la encarnada en nuestra Constitución, que se dispone a ser violada de nuevo – de que la tarea del Estado es dominar y gobernar los mercados, y la obra destructiva de los mismos, subordinandolos a objetivos de progreso económico, social, cultural, humano.

Tengan al menos la decencia de no pararle sus nombres al de Draghi.

4 Ikus Recovery Fund: è anche troppo parlare di un topolino – Rete MMT eta Three-quarters of Next Generation EU payments will have to wait until 2023 | Bruegel.

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