Informazio ekonomikoaren manipulazioaz

(Euskal Herriko kazetariei dedikatua)

(1) Ecco come media e think tank manipolano l’informazione economica

26 Giugno 2020

di David Lisetti.

L’obbiettivo di questo articolo è quello di guidare il lettore alla scoperta degli artifizi retorici utilizzati dal mainstream economico per indirizzare l’opinione pubblica all’accettazione di un mondo basato sulle disparità, sulle privatizzazioni e sull’austerità. Nella seconda parte dell’articolo, infatti, contrapporremo il modello basato sui principi della MMT; ricordo ai lettori che nei prossimi giorni saranno pubblicati ulteriori contenuti utili a comprendere gli aspetti teorici di questa affascinante teoria economica.

Nella costruzione della narrativa liberista i think tank e i gruppi di potere giocano un ruolo centrale: quest’ultimi hanno il compito di produrre  ricerche e report politici che imbrigliano il dibattito all’interno di concetti e dogmi ortodossi che molto spesso, proprio attraverso i report dei think tank, diventano la base dei programmi politici pro-establishment. La loro volontà di tollerare fenomeni quali la disoccupazione di massa, l’aumento della disuguaglianze e più in generale della povertà è l’evidenza della dinamica sopra descritta. Una lunga lista di politici è diventata un megafono di queste “ricerche indipendenti” con la finalità di avvalorare la macelleria sociale e dei diritti grazie alla supposta superiorità accademica delle loro argomentazioni. Organizzazioni come la Patterson Foundation (USA), il Cato Institute (USA) e il Centre of Independent Studies (Australia), come molte altre organizzazioni similari, continuano ancora oggi la loro sistematica operazione di indirizzamento del dibattito politico. 

Una tecnica utilizzata per incanalare a loro vantaggio il dibattito economico viene definita “frame”. Con il termine frame ci riferiamo al modo in cui un determinato argomento viene concettualizzato e comunicato dai media agli ascoltatori. Il processo di concettualizzazione procede adattando dei modelli teorici di rappresentazione della realtà alla realtà stessa. Le ricerche nel campo della filosofia cognitiva e della linguistica cognitiva indicano come questi modelli teorici vengono da noi percepiti come credibili ponendo un primo limite alla nostra libertà di pensiero. Questo processo di creazione della realtà avviene attraverso l’utilizzo di costrutti metaforici. 

In questo contesto, potremmo definire il frame utilizzato come il “frame individualista mainstream”, i cui sostenitori sono particolarmente efficaci nel propagare i loro ideali tramite l’utilizzo del linguaggio metaforico. Proprio questa loro capacità di produrre veri e propri “miti” correlati alla loro ideologia ha portato il pubblico ad accettare tali argomentazioni come veritiere. La tolleranza sempre maggiore di una popolazione disoccupata, impoverita e con una crescente differenziazione del tessuto sociale è il risultato tangibile di quanto il frame ideologico sia un dato di fatto incontrovertibile. 

Gli studi dell’esperta di comunicazione Anat Shenkar-Osorio sono propedeutici a comprendere in modo ancora più approfondito il concetto di frame; utilizzeremo a tal fine la figura seguente, attraverso cui la dottoressa Anat descrive il modello “conservativo” che può essere riassunto con «gli individui e la natura esistono principalmente per servire leconomia». Questa visione è collegata ad un assunto che permea la nostra percezione economica, ossia: «un economia competitiva che si autoregola da sola è la migliore condizione per aumentare il benessere e i redditi; ciò sarà possibile se consentiremo al mercato di operare con il minimo intervento da parte delle istituzioni governative».

L’economia secondo questo modello è considerata come divina, la quale riconoscendo il nostro impegno nel diminuire le nostre interferenze verso il suo operato ci ricompenserà donandoci pace e prosperità. Noi esseri umani dobbiamo avere “fede” perché il Dio economico “tutto vede”; se lavoriamo duramente e facciamo i giusti sacrifici, i sarà caritatevole nei nostri confronti.

Mentre la società occidentale cerca di dimostrare la sua laicità religiosa condannando gli estremismi dei fedeli, i think tank e i media vendono nell’economia una nuova fede universale.

Basti pensare alla forza evocativa delle frasi pronunciate e da tutti noi ascoltate, grazie ai media nazionali e mondiali, durante il governo Monti: «Se tutti noi saremo disposti a fare dei sacrifici i mercati ci premieranno».

Ditemi se alla luce di quanto sopra descritto questa frase non suona quasi mistica piuttosto che economica. È sulla base di costrutti metaforici come questi che si basa il predominio della narrativa mainstream. L’economia viene rappresentata come un’entità vivente. Se le istituzioni intervengono fornendo supporto ai soggetti immeritevoli, agli “sfaticati”, ai “reietti”, essa agisce contro la sua stessa natura, va contro il processo di naturale competizione. La soluzione proposta dal mainstream a questi squilibri consiste nel ristabilire un processo naturale all’interno dell’economia con “un’antidoto, una medicina, un farmaco”, che si concretizza nella necessità di limitare gradualmente l’intervento del governo

Il messaggio chiave racchiuso in questa analisi, scrive Shenker-Osorio, è che «l’autoregolamentazione del libero mercato è qualcosa di naturale», che l’intento del governo di salvaguardare livelli dignitosi per i suoi cittadini porta più mali che benefici e a noi non resta che accettare questa dura legge universale del “Dio economico”.  

Questa narrativa ci insegna che i nostri successi sono collegati al successo del sistema stesso e che il successo o il suo fallimento è determinato dalla nostra capacità di essere disposti al sacrificio. Questo concetto ci riporta alla celeberrima concezione della “durezza del vivere” dell’allora ministro Padoa Schioppa. Quindi seguendo questa logica la disoccupazione è responsabilità del disoccupato stesso, quando in realtà spesso la disoccupazione è correlata ad una mancanza sistemica di posti di lavoro.

I progressisti come i conservatori sono ostaggio delle stesse infondate credenze riguardanti il funzionamento dell’economia e nel frattempo la società si ritrova sottomessa al dato di fatto imperante ovverosia che “non ci sono alternative”: le uniche politiche economiche possibili sono quelle dannose oramai introdotte da tempo dai vari governi che si sono succeduti. Chiaramente non c’è nulla di più falso.

Contrapponiamo ora un altro frame a quello del mainstream. Parliamo di quello della teoria monetaria moderna (MMT) attraverso l’utilizzo di un’altra figura, quella seguente, che rappresenta unalternativa al modello precedentemente esposto: qui potete vedere come l’economia lavori per i nostri interessi, per i nostri scopi, come una sovrastruttura creata da noi stessi; le persone in questo modello sono totalmente incorporate all’interno del sistema e il sistema nutre le persone come parti integranti dello stesso.

Questa immagine ci suggerisce una nozione fondamentale ossia che noi esseri umani siamo in stretta connessione con l’ambiente circostante e ci poniamo tutta una serie di obbiettivi che riteniamo importanti per il nostro progresso. 

L’economia è uno strumento che lavora per nostro conto. Tutto il dibattito su cosa la politica dovrebbe fare, su cosa sia giusto o sbagliato, dovrebbe essere esclusivamente collegato al livello di benessere che vogliamo raggiungere, mentre oggi l’intero dibattito si concentra nel discutere su quanto ancora l’economia debba crescere. L’economia, in altre parole, è una creazione dell’uomo fatta per servire l’uomo.

Da questo punto di vista possiamo vedere come l’economia sia un mero strumento nelle mani dell’uomo; tutti gli interventi di politica economica dovrebbero essere valutati in funzione di quanto siano utili a raggiungere i nostri obbiettivi e dovremmo ragionare primariamente in termini di avanzamento del benessere pubblico, di come massimizzare la qualità della vita di ogni cittadino in un contesto di sostenibilità ambientale. Da questo punto di vista gli obbiettivi socio-economici diventano il nucleo delle proposte politiche. 

Questa prospettiva fa da eco ai principi di finanza funzionale espressi da Abba Lerner (1943).  In accordo con ciò ritroviamo anche la base del pensiero economico MMT, il quale ci suggerisce quanto siano irrilevanti gli obbiettivi di bilancio se non si considerano allo stesso tempo anche gli obbiettivi di progresso e avanzamento della civiltà

Seguendo questo filone narrativo, quindi, sono le persone che creano l’economia e se l’economia è una nostra creazione non deve rispondere a regole “naturali”. Mentre concetti come il tasso naturale di disoccupazione, che implica una politica in cui si lascia al mercato la capacita di riequilibrare naturalmente il giusto livello di occupazione, sono del tutto infondati

Il governo può sempre scegliere di sostenere i suoi obbiettivi occupazionali. Noi abbiamo creato il governo per fare tutte quelle cose che da soli non saremmo in grado di fare, proprio come un qualsiasi agente o intermediario; allo stesso tempo ci rendiamo conto che gli obbiettivi che ci poniamo possono essere raggiunti solo se ci sono dei soggetti istituzionali preposti al controllo e all’implementazione degli obbiettivi che come comunità ci siamo preposti. 

I due modelli che sono stati esposti potrebbero essere riassunti come segue: figura 1 = visione individualista, figura 2 = visione sistemico-collettiva.

La visione sistemico-collettiva è importante perché essa provvede a giustificare tutte quelle misure utili a redistribuire i costi ed i benefici dell’attività economica.

In sostanza, per sistemico-collettiva si intende la possibilità per il governo di utilizzare la leva del deficit di spesa pubblica per assicurare posti di lavoro per tutti quelli che vogliono lavorareLa competizione fra i due modelli descritti e riassunti con i grafici, ha generato un acceso dibattito all’interno delle istituzioni accademiche. Dibattito che si può dire essere iniziato contemporaneamente alla grande crisi del ‘29, una crisi che ci ha insegnato quanto l’intervento pubblico sia necessario per governare l’imprevedibile caos degenerativo delle forze che operano scollegate fra loro all’interno del sistema capitalistico. 

Dalla crisi del ‘29 e in risposta ad essa abbiamo appreso che l’economia è una nostra costruzione, un nostro strumento e che noi possiamo controllarla attraverso la politica fiscale e la politica monetaria in modo da creare un elevato livello di benefici per tutta la collettività.

La crisi del ‘29 ci ha forzato a ragionare su come interpretare l’economia, comprendendo come essa sia una nostra creazione, progettata per generare benefici per tutti noi, non più quindi un’economia percepita come un’entità astratta che distribuisce premi o punizioni secondo una logica morale preimpostata. 

Nel prossimo articolo parleremo di “hypothesis embodied cognition” e di come questi innovativi studi sul cognitivismo possono aiutarci a  spiegare perché determinate metafore economiche hanno un così forte potere persuasivo. 

L’articolo trae ispirazione dallo studio del paper accademico Framing Modern Money Theory” del prof. Bill Mitchell (università di Newcastle).

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(2) “Il macigno del debito pubblico”: ecco come usano la psicologia per manipolarci

6 Luglio 2020

di David Lisetti.

Nella prima parte di questa trattazione abbiamo analizzato uno dei principali strumenti di manipolazione economica, ovverosia il “frame”, specificando come la realtà economica che ci viene proposta non sia l’unica possibile ma esista un’alternativa che può garantire innumerevoli vantaggi alla collettività ed al nostro paese. 

In questa seconda parte invece andremo ad analizzare per quale motivo la narrazione del mainstream economico abbia così tanta presa sul pubblico generalista. E per farlo parleremo di linguaggio metaforico e condizionamenti cognitivi. 

Prima di iniziare è necessaria una doverosa panoramica su uno dei concetti cardine su cui si basa la seguente trattazione, ovvero l’embodiment hypothesis (questi primi passaggi saranno forse un pochino tecnici ma vi assicuro che alla fine dell’articolo tutto vi sarà molto più chiaro). 

L’embodiment hypothesis assume che larga parte dei concetti di pensiero siano legati alla conformazione delle strutture neuronali, così come il sistema motorio o gli organi di senso, e che da tali concetti deriva anche la loro struttura inferenziale (operazione mentale per cui si passa da un giudizio o da un fatto noto ad un altro giudizio) che ne ricalca le strutture percettive neuronali. Quanto sopra rappresenta il fulcro del sistema fisico e percettivo nei processi cognitivi. Ricerche nel campo della neurobiologia e delle scienze comportamentali supportano le nozioni riguardanti la fisicità e l’importanza del sistema motorio e sensoriale in relazione al linguaggio e alla comprensione. 

Mente e corpo sono collegati tra loro in modo bidirezionale, tutti noi diamo per assodato che la mente controlli il corpo ma ignoriamo come anche il corpo (inteso come apparato motorio-sensoriale) influenza la mente (intesa come apparato logico-cognitivo). Le banali azioni quotidiane come afferrare qualcosa con le mani, stare in piedi o camminare, conducono allo sviluppo di concetti sensorio-motori che sono estesi alla sfera nozionale principalmente per via metaforica, in altre parole l’interazione del nostro corpo con l’ambiente circostante costituisce le fondamenta del nostro processo di apprendimento; il linguaggio metaforico in questo processo di apprendimento ha il ruolo di maestro e guida. Attraverso il linguaggio metaforico formiamo le nostre scelte e i nostri giudizi. Per esempio, Lakoff e Johnson spiegano il nostro associare l’esperienza soggettiva del sentire calore mentre si è abbracciati a quella del sentirsi amati. La nostra mappa sensoriale collega il provare calore al sentimento soggettivo di affetto. In questo esempio, il dominio sensoriale è la fonte, mentre quello dell’esperienza soggettiva il destinatario.

Il linguaggio metaforico basa il suo effetto pervasivo sulla struttura delle nostre percezioni perché è un linguaggio composto da immagini (associazioni visive). Sempre Lakoff and Turner affermano che «le metafore sono mappe concettuali. Esse sono parte del nostro pensiero, non un mero linguaggio». 

Le metafore sono dunque potenti e persuasive. Le metafore guidano la maggioranza dei nostri assunti di base (pregiudizi) in relazione all’insieme delle nostre opinioni, incluso il pensiero riguardante l’economia. 

Ad esempio, associamo a concetti con “più” o “meno” i termini direzionali “in alto” e “in basso” per via dell’interazione fisica con l’ambiente che ci circonda. Metafore concernenti le direzioni sono impiegate anche in relazione a stati emozionali come felicità e tristezza (come per «quel film mi ha tirato su» o «mi sento giù»), successo e fallimento («ha fatto la scalata in società» o «è caduta in disgrazia»). 

Alla luce di quanto sopra descritto immaginate la forza espressiva della seguente frase: «Il debito pubblico graverà come un macigno sulle spalle delle future generazioni». 

Raffigurare il debito pubblico come un macigno porta automaticamente il ricevente di questo messaggio a sentirsi “schiacciato” e quindi da un punto di vista senso-motorio la traiettoria sarà quella di andare vero il basso con la conseguente generazione di uno stato emotivo disfunzionale. Il fruitore sarà portato a livello irrazionale a ripudiare il debito pubblico e ad essere totalmente reticente ad un suo aumento. 

Un altro assunto che possiamo apprendere da questa branca della psicologia cognitiva è quello inerente agli aspetti direzionali-quantitativi: il  “più” ci fa immaginare una dinamica crescente ed il “meno” una decrescente. In relazione alla nostra visione del denaro, “più” è tipicamente qualcosa di buono e positivo, mentre “meno” è tipicamente negativo. 

L’idea che il deficit pubblico sia desiderabile rientra quindi in un campo controintuitivo e di difficile assimilazione ma, come vedrete nel prossimo articolo, la desiderabilità di ampi deficit pubblici e di alti debiti pubblici è alla base della prosperità di una nazione e di qualsiasi economia istituzionalizzata. 

La dottrina macroeconomica dominante a supporto del modello rappresentato nella Figura 1 (per approfondimenti leggere la prima parte) non riconosce le caratteristiche basilari del funzionamento dell’economia nel mondo reale ed il pubblico in genere non è consapevole della mediocrità del modello economico dominante. 

Il dilagare dell’attuale narrazione economica nell’opinione pubblica è stato possibile tramite la correlazione di tutta una serie di miti economici rinforzati dall’utilizzo di metafore. Nella tabella n. 1 indicherò una serie di metafore, utilizzate dagli opinionisti ed economisti neoclassici, finalizzate ad attaccare la spesa pubblica, i deficit pubblici e l’utilizzo del debito pubblico per supportare i redditi dei lavoratori svantaggiati. Tutte queste metafore sono costruite per rinforzare gli argomenti principali del paradigma dominante con l’obbiettivo di promuovere una sorta di “autodisciplina”, “indipendenza”, “ambizione” “ricchezza” e “sacrificio” (vedere la figura 1). 

Tramite il loro utilizzo si oscura la verità per indurci al consenso verso politiche atte a peggiore la nostra situazione, nonostante esistano alternative che possono farci stare economicamente e socialmente meglio, anche in termini di collettività.

Con questo secondo articolo si chiude il ciclo di contenuti offerti dalla MMT sulle tecniche di manipolazione adottate (consapevolmente o inconsapevolmente) da media, economisti e commentatori economici. 

Nel prossimo articolo invece entreremo nel vivo dell’affascinante approccio economico della MMT, che sta conquistando con la sua forza logica ogni giorno nuove fette di appassionati lettori ed estimatori (per maggiori informazioni vi rimando al seguente articolo)

Concludo riportando alla vostra attenzione un tema di attualità che rischia di compromettere il futuro dell’Italia e su cui tutti noi dovremo tenere un livello di allerta massima. Sto parlando del MES (per approfondimenti qui un mio articolo su questo specifico tema)1, poiché alla luce di quanto avete potuto apprendere dalla lettura di questi due articoli avrete sicuramente capito che le parole e il nostro modo di esprimerci non sono “neutri” ma hanno una grande forza evocativa, che direziona le nostre scelte e le scelte altrui. 

D’ora in poi fate caso a come i media ci presentano il MES, a come ne danno una connotazione di “aiuto”; nella nostra sfera di esperienze individuali sappiamo che un aiuto o per meglio dire “una mano tesa” è incondizionata, gratuita, disinteressata. Ad ognuno di noi sarà capitato almeno una volta nella vita di aiutare o di essere aiutati da un amico o familiare in modo incondizionato, quindi quando i media ci parlano del MES dicendo che è un aiuto, tutti noi pensiamo che sia effettivamente privo di condizionalità. 

Immaginate come cambierebbe l’opinione pubblica italiana se tutti i media iniziassero a nominare il MES per quello che effettivamente è, ovvero un prestito.  Tutti noi sappiamo che il prestito non è mai privo di condizionalità e che spesso sono le clausole che rimandano ad altri contratti/allegati a nascondere le vere criticità, di conseguenza il livello di allerta dei cittadini italiani sarebbe molto più elevato di quello attuale. Attraverso la trattazione dell’argomento MES ho voluto fornirvi un ulteriore elemento di riflessione sull’importanza del linguaggio e su come i media indirizzano le nostre percezioni e le nostre scelte.


1I pericoli del MES

Appello alle associazioni di categoria imprenditoriali italiane 

I lavori preparatori dell’Eurogruppo di aprile hanno prodotto quello che viene definito MES senza condizionalità e se anche è vero che il MES non abbia condizionalità inerenti all’utilizzo dei fondi (purché siano direzionati verso investimenti sanitari) rimane però,  come si evince dal comma 16 del report dell’Eurogruppo del 09/04/2020, il rischio concreto  di far entrare l’Italia all’interno dei meccanismi fiscali di sorveglianza Europea: 

«Gli Stati membri dell’area dell’euro rimarranno impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’UE, compresa l’eventuale flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell’UE».

Gli organi di governo del MES se in futuro riterranno i fondamentali macroeconomici del nostro Paese non in linea con i parametri europei di sostenibilità delle finanze pubbliche, potranno optare per modificare i piani di restituzione del prestito conforme richiedendo misure di consolidamento fiscale come il taglio della spesa pubblica e l’aumento della tassazione, misure strutturali di flessibilizzazione del mercato del lavoro, di liberalizzazioni, di privatizzazioni e in ultimo la ristrutturazione del debito pubblico. 

Voglio essere ben chiaro su questo passaggio, sono gli stessi regolamenti europei a consentire modifiche future ed in corso d’opera delle condizioni di erogazione e restituzione del prestito; infatti, a tal proposito riporto il comma 5 art.7 del Reg. 472/2013: 

«La Commissione, d’intesa con la BCE e, se del caso, con l’FMI, esamina insieme allo Stato membro interessato le even­tuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico, al fine di tenere debita­mente conto, tra l’altro, di ogni scostamento significativo tra le previsioni macroeconomiche e i dati effettivi, anche alla luce delle eventuali ripercussioni derivanti dal programma di aggiustamento macroeconomico, da ricadute negative e da shock macroeconomici e finanziari. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito alle modifiche da apportare a tale programma». 

L’Italia avendo un rapporto debito pubblico/PIL pari al 134,8% già oggi non rientra nei parametri europei di sostenibilità delle finanze pubbliche ed è certo che a causa della crisi economica generata dal “lockdown” governativo il PIL diminuirà considerevolmente, una perdita che il Fondo monetario internazionale (FMI) stima al 9.1% del PIL, mentre il deficit pubblico legato principalmente agli stabilizzatori automatici (cassa integrazione e politiche di sostegno dei redditi) subirà, al contrario, una forte impennata che comporterà quindi un rispettivo aumento del debito pubblico.

Le stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze prevedono che a fine 2020 il debito pubblico in rapporto PIL si attesterà al 155,7%, se nei prossimi mesi il governo sottoscriverà la linea di credito del MES è quindi molto probabile che lo stesso MES ci richieda di implementare una delle politiche economiche sopra menzionate. 

Il governo per evitare che il rapporto debito pubblico su PIL sia giudicato insostenibile dal MES sarà costretto a generare cospicui avanzi primari, ma le recenti esperienze storiche, in particolare il Governo Monti, hanno dimostrato che la contrazione della spesa pubblica e/o l’aumento della tassazione in momenti di crisi economica peggiorano il rapporto debito pubblico/PIL invece che migliorarlo. Quindi è molto probabile che le politiche, che il governo dovrà applicare, saranno di fatto pro-cicliche e aumenteranno le possibilità di commissariamento da parte del MES, il che condurrà l’economia italiana in territori inesplorati. 

Le uniche esperienze storiche di paesi che hanno sottoscritto i piani di finanziamento MES, come ad esempio il caso greco del 2011, riportano immediatamente alla nostra memoria scene di devastazione economica, privazione della dignità umana, privatizzazione degli asset strategici, fallimenti concatenati di interi settori produttivi, industriali e di gravi crisi sanitarie.

La sola possibilità che il MES, godendo dello status di creditore privilegiato, imponga all’Italia la ristrutturazione del debito avrà la diretta conseguenza di rendere molto più costoso l’accesso ai mercati di capitali, aumentando il tasso di interesse sui nostri titoli di Stato e quindi i costi di finanziamento della spesa pubblica necessaria ad assorbire lo shock economico derivante dalla crisi del COVID-19.

In buona sostanza tali dinamiche economiche causeranno un peggioramento dell’intera economia italiana e un conseguente crollo della domanda interna che condurrà al fallimento di migliaia di imprese già enormemente provate da 12 anni di severa crisi economica; stiamo parlando delle nostre imprese, di quel patrimonio di operosità unico al mondo e non è giusto lasciare che la politica per incompetenza e superficialità si prenda ciò che di meglio l’Italia ha da offrire ovvero le nostre imprese, il nostro lavoro.

Le associazioni di categoria che trovano la loro ragion d’essere nella difesa dei propri associati hanno il dovere morale di mobilitare tutte le energie al fine di evitare che il governo sottoscriva una linea di credito attraverso il Meccanismo europeo di stabilità. L’Italia ha la possibilità di finanziarsi sul mercato dei capitali autonomamente; inoltre la BCE attraverso il suo piano di acquisto è già intervenuta con efficacia per calmierare il tasso di interesse sui titoli di Stato e nulla vieta che la stessa aumenti le sue dotazioni approcciando la crisi economica con strumenti e dotazioni flessibili, ragion per cui non sussistono e non possono in futuro sussistere motivazioni per le quali d’Italia debba richiedere una linea di credito attraverso il MES. 

Nel resto del mondo sono le banche centrali che stanno supportando i governi o attraverso acquisti illimitati di titoli di Stato e asset finanziari privati, come nel caso della Federal Reserve, o attraverso la concessione di scoperti di conto al Ministero dell’Economia, come nel caso della Royal Bank of England.

In nessuno dei paesi occidentali si utilizzano fondi che rispondono a logiche sovrapponibili a fondi di diritto privato come il MES per contrastare questa emergenza. I costi nel caso in cui si decidesse di percorrere la strada del finanziamento attraverso il Meccanismo europeo di stabilità sono ingiustificabili e sarebbero un grave errore, il quale verrà pagato dalle famiglie e dalle imprese italiane.

Diventa quindi fondamentale che le associazioni di categoria inizino un rigoroso dibattito interno e che si facciano portatrici della salvezza del tessuto produttivo italiano dichiarandosi contrarie al MES.”

David Lisetti

Iruzkinak (1)

  • joseba

    La teoria monetaria moderna (MMT): la cassetta degli attrezzi per smontare pezzo per pezzo le falsità del mainstream economico
    (https://www.ilparagone.it/interventi/la-teoria-monetaria-moderna-mmt-la-cassetta-degli-attrezzi-per-smontare-pezzo-per-pezzo-le-falsita-del-mainstream-economico/?fbclid=IwAR1OwW5uDo4tTCqSsoQKlPwcU1m_Sojg-V8fxHTXZCEhQXWJitAFY-qjX4U)
    20 Luglio 2020, 15:33 220 Views
    di David Lisetti.
    Il seguente articolo presenta la terza parte di una serie di contenuti che traggono ispirazione dalle ricerche del professore della teoria monetaria moderna (modern monetary theory, MMT), Bill Mitchell. 
    Nella prima parte di questa trattazione abbiamo analizzato lo strumento di manipolazione dei contenuti economici, ovvero il “frame”, specificando come la realtà economica che ci viene proposta non è l’unica possibile ma che esiste un’alternativa che può garantire innumerevoli vantaggi alla collettività ed al nostro paese. 
    Nella seconda parte, invece, abbiamo analizzato le motivazioni alla base della forza narrativa del mainstream economico e perché tale approccio economico ha così tanta presa sul pubblico. 
    In questa terza parte entreremo nel vivo delle argomentazioni economiche del mainstream, contrapponendole all’innovativo approccio della teoria monetaria moderna. 
    Affermazione n. 1: lo Stato è come una famiglia
    L’analogia con la contabilità di una famiglie è totalmente falsa. Una famiglia “utilizza” la moneta e deve necessariamente finanziare la propria spesa con l’indebitamento o attingendo ai propri risparmi. Uno Stato invece può emettere la valuta e spenderla; questo può avvenire senza ricorrere alla fiscalità generale (tassazione dei cittadini) e senza necessariamente indebitarsi con soggetti istituzionali “terzi”. Una famiglia non può spendere indefinitamente più di quanto incassa perché il debito privato ha limiti di sostenibilità. Le scelte di spesa di una famiglia sono quindi limitate – hanno un “vincolo esterno” – e non possono rimanere in negativo per lunghi periodi. Un governo con sovranità sulla propria valuta, al contrario, non ha tecnicamente l’obbligo di legare la propria spesa alle tasse che impone ai propri cittadini e può sempre permettersi di registrare un deficit pubblico senza nessun rischio di insolvenza. 
    Le nazioni dell’euro sono l’eccezione. Hanno ceduto la sovranità sulla propria valuta e devono dunque prendere soldi in prestito per rinnovare il proprio debito e coprire il deficit, il che le rende dipendenti dai mercati (in mancanza del supporto della Banca centrale europea; vedere il programma di acquisto titoli denominato PEPP) esponendoli al rischio di insolvenza.
    Tutto ciò implica: 
    che l’analogia tra Stato e famiglia è inapplicabile;
    che le nostre esperienze personali di gestione delle finanze non generano assunti rilevanti per quelle di uno Stato;
    che una narrativa alternativa deve prendere in considerazione le caratteristiche peculiari della valuta come monopolio di Stato. 
    Affermazione n. 2: i deficit sono un male, i surplus/tesoretti pubblici sono un bene 
    I deficit pubblici non sono di per sé un bene o un male in termini meramente contabili e lo stesso si può dire per i surplus/tesoretti, poiché in termini comportamentali i primi sono necessari quando i desideri di spesa dei privati non sono sufficienti ad assicurare un pieno utilizzo delle risorse disponibili nella comunità. 
    È il contesto che è importante, perché la spesa pubblica è il mezzo per raggiungere gli obbiettivi della comunità: la contabilità pubblica non può essere un obbiettivo politico che ha priorità rispetto agli interessi sociali della comunità di riferimento. Per antitesi, gli avanzi primari (che riflettono una situazione in cui vengono tolti in tasse alla comunità più soldi di quelli dati con la spesa pubblica) non sono di per sé buoni o cattivi, anzi in determinate circostanze sono dannosi. Per intenderci, in una nazione con un forte export netto, alti standard di servizi pubblici e un livello di reddito nazionale sufficiente a supportare il desiderio di risparmio dei cittadini, un avanzo primario può essere necessario per contenere la domanda aggregata ed evitare l’inflazione. 
    Il risultato di un bilancio è sempre determinato dallo stato totale delle attività ed è ampiamente al di là del controllo del governo. Se la spesa del settore privato è debole allora il deficit solitamente salirà in quanto il denaro raccolto dalle tasse diminuirà indipendentemente dalle intenzioni iniziali del governo; questo è esattamente ciò che sta succedendo in questi mesi di blocco parziale dell’economia e dei consumi causato dalle misure di contenimento epidemiologico. Un certo risultato di finanza pubblica può portare a deficit pubblici che sono positivi per la comunità nazionale, ad esempio un ampio deficit pubblico può essere il risultato di un’intenzione del governo di spendere di più per mantenere la piena occupazione indipendentemente dalle decisioni di risparmio e spesa della comunità. Quando la spesa dei cittadini collassa ed il deficit aumenta per le minori tasse raccolte la risposta corretta è di aumentare il deficit pubblico piuttosto che tagliarlo. 
    Come abbiamo visto nei precedenti articoli la parola deficit ha una connotazione inconscia negativa, poiché a livello cognitivo associamo al deficit una condizione di carenza, ma fermarsi solo alla superficialità delle nostre percezioni è altamente limitante perché non ci permette di apprezzare i contributi positivi che i deficit pubblici possono arrecare al settore non governativo in termini di aumento dei beni finanziari e della ricchezza netta. Il deficit pubblico è l’unica fonte di attività finanziaria al netto per il settore privato ed estero; la realtà contabile rende evidente che se il settore non governativo vuole risparmiare nella valuta emessa dallo Stato quest’ultimo deve fornirla attraverso il deficit pubblico. 
    I saldi settoriali derivano da una generale contabilità nazionale che mostra come i deficit pubblici (ed i surplus) eguagliano sempre i surplus (o deficit) del settore non governativo. Il perseguimento sistemico di avanzi pubblici manifesta necessariamente un declino nei risparmi dei cittadini e del settore non governativo nel suo complesso. I surplus di bilancio distruggono dunque ricchezza finanziaria al netto, forzando il settore privato a vendere le proprie attività in cambio di liquidità, con risultati deflazionistici. 
    Come detto precedentemente gli indebitamenti di lungo periodo di una famiglia portano gravi problemi di sostenibilità finanziaria per la famiglia stessa; questo chiaramente vale anche per l’aggregato di tutti i soggetti privati (settore non governativo) che compongono un’economia, quindi risulta logico che politiche di surplus, che forzano l’indebitamento del settore non governativo, non possono essere percorse nel lungo termine poiché essendo il settore non governativo finanziariamente limitato non può reggere l’impatto di un alto indebitamento. 
    In ultimo, la decisione da parte del settore privato di aumentare il proprio risparmio e ridurre il proprio livello d’indebitamento può interagire con il drenaggio fiscale proveniente dagli avanzi pubblici e guidare l’economia verso una recessione. 
    La componente endogena del bilancio pubblico porterà dunque il deficit al livello iniziale ma questa volta con risultati negativi. 
    Implicazioni:
    comprendere il particolare contesto in cui si forma ogni bilancio pubblico è cruciale per una valutazione consapevole riguardo l’appropriatezza della politica fiscale
    il fatto che il deficit pubblico permette al settore non governativo di risparmiare in aggregato mentre un avanzo di bilancio distrugge il benessere della collettività deve essere evidenziato. 
    Affermazione 3: gli avanzi di bilancio contribuiscono al risparmio nazionale 
    Uno Stato che emette la propria valuta non ha bisogno di accumulare risparmi nella stessa unità di conto. Gli avanzi di bilancio non sono “risparmi pubblici” utilizzabili per finanziare la futura spesa pubblica. Il risparmio è l’atto di rimandare la spesa corrente per aumentare la capacità di spesa futura e si applica ai soggetti finanziariamente limitati come le famiglie, e al settore non governativo in generale.
    Un governo che emette la propria valuta non avrà mai bisogno di finanziare in anticipo le proprie spese future e dunque di risparmiare. 
    I limiti alla spesa pubblica non hanno natura finanziaria ma sono definiti dalla disponibilità di risorse reali vendibili nella valuta emessa dal governo (approfondiremo questo concetto in un prossimo articolo). 
    Implicazioni:
    gli avanzi di bilancio distruggono la ricchezza dei cittadini;
    i deficit di bilancio aggiungono ricchezza a i cittadini. 
    Affermazione 4: il bilancio dello stato dovrebbe essere “bilanciato” durante il ciclo economico 
    Comprendendo che il risultato delle finanze pubbliche è endogeno (derivante da condizioni non sotto il diretto controllo di uno Stato) intendiamo che il governo non può realisticamente perseguire un determinato obbiettivo di bilancio poiché i cambiamenti nella spesa dei cittadini, ad esempio, possono deviare tale sforzo dell’azione governativa. Una strategia responsabile per un governo è adeguarsi nelle proprie finanze ad i livelli di spesa dell’economia al fine di mantenere la piena occupazione, dato un certo livello di spesa del settore governativo, indipendentemente dall’ammontare del bilancio pubblico. 
    La contabilità nazionale ci dice che per una nazione che incorre in un deficit non governativo, delle regole di pareggio del bilancio per lo Stato equivalgono al richiedere ai cittadini di incorrere in una perdita di ammontare pari al deficit esterno. Questa può essere difficilmente una strategia sostenibile.
    Inoltre, una strategia fiscale anti-ciclica non richiede assolutamente al governo di perseguire un avanzo. Il concetto di contro-ciclicità si riferisce più correttamente alla tendenza della variazione piuttosto che all’ammontare del bilancio. Il governo non dovrebbe aumentare la sua spesa netta se l’economia è già alla sua piena capacità con l’attuale mix di spesa privata. Questo tipo di aumento sarebbe pro-ciclico, mentre mantenere un deficit costante quando il deficit esterno è stabile ed il settore privato domestico riesce a risparmiare quanto desiderato è l’obbiettivo da perseguire.
    Implicazioni:
    regole di finanza pubblica che definiscono livelli di debito o deficit sono incompatibili con una responsabile gestione della politica di spesa;
    uno Stato che emette la propria valuta deve perseguire obbiettivi funzionali alla propria comunità e permettere al proprio bilancio di adeguarsi di conseguenza. 
    Con questo articolo abbiamo visto come quattro affermazioni che i media mainstream, gli economisti e i commentatori danno per scontato sono totalmente false; la realtà è simmetricamente opposta a quanto ci viene ripetuto da anni a rete unificate. 
    Nel prossimo articolo continueremo l’operazione di “debunking” del pensiero unico andando ad esaminare altre affermazioni collegate ai temi di finanza pubblica. 
    Spero che con questo articolo sia riuscito a suscitare la vostra curiosità e il vostro interesse: l’economia è una disciplina (per favore non chiamatela scienza) ostica e non molto attraente ma è dalla comprensione di questi aspetti di contabilità pubblica che si basa la critica alle istituzioni europee, le quali rappresentano l’incarnazione istituzionale e radicale del pensiero unico mainstream. 
    Un continente o una nazione che punti alla prosperità dovrebbe fare esattamente l’opposto di quanto è stata ratificato nei trattati europei.

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