Recovery Fund: limosna ematen digute eta eskerrak eman behar dizkiegu

Recovery Fund: ci fanno l’elemosina e dobbiamo anche ringraziare

(https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-recovery_fund_ci_fanno_lelemosina_e_dobbiamo_anche_ringraziare/33535_35248/)

di Thomas Fazi
In tanti mi hanno chiesto un commento sulla proposta di
Recovery Fund della Commissione europea che a sentire gli europeisti nostrani sarebbe un evento di portata storica secondo solo al ritorno del Messia (ma forse pure meglio visto che che la tendenza del Cristo a creare vino dal nulla rischierebbe di generare inflazione).

Sarò breve, non solo perché oggi è il mio compleanno, ma perché sarebbe il caso di smetterla di sprecare inchiostro per commentare quelle che sono appunto proposte che poi dovranno passare al vaglio dei governi nel corso di trattative che dureranno mesi e alla fine dei quali della proposta iniziale rimarrà ben poco.
Ciò detto, poniamo che
il piano della Commissione europea passi così com’è. Cosa prevede esattamente? Girano cifre molto fantasiose. Da ieri tutti gli organi di stampa parlano di 172 miliardi di “aiuti” per l’Italia, 80 dei quali addirittura a fondo perduto. Detta così sembrerebbe quasi un buon affare. «Una pioggia di soldi», l’ha definita l’ineffabile Enrico Mentana.
Peccato che nei documenti ufficiali – che come è noto i giornalisti e gli europeisti di casa nostra hanno serie difficoltà a comprendere – non si faccia nessun riferimento a questa cifra.
I numeri riportati dal documento della Commissione europea (p.51, https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/assessment_of_economic_and_investment_needs.pdf) sono ben altri, come si può vedere nell’immagine: all’Italia spetterebbero infatti 153 miliardi, una cifra comunque di tutto rispetto.

Come si può vedere nella colonna successiva (1), però, di quella cifra 96,3 miliardi dovranno essere contributi… dall’Italia, che dunque al netto riceverà la colossale somma di… 56,7 miliardi, pari al (tenetevi forte) 3,2% del PIL italiano, spalmati nel corso di quattro anni (0,8% del PIL all’anno). Senza parlare del fatto che solo una parte di quei 56,7 miliardi sarà a fondo perduto e che in ogni caso tutti i flussi che arriveranno dalla UE – sia sotto forma di prestito che di trasferimento – saranno soggetti a condizionalità e vincoli di destinazione. E che molto probabilmente non se ne parla prima del 2021.
Ricapitolando: poche decine di miliardi netti (pari a una frazione del PIL italiano) spalmati su vari anni e con condizionalità annesse, a fronte di un crollo del PIL che per il nostro paese si prospetta a doppia cifra (
-15% solo nel primo semestre del 2020 secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio). E mentre tutti i paesi avanzati extra-euro annunciano piani da centinaia di miliardi di yen/sterline/dollari.
E c’è anche chi esulta1.

(1) In RECOVERY FUND: CI FANNO L’ELEMOSINA E DOBBIAMO ANCHE RINGRAZIARE (https://www.facebook.com/thomasfazi/posts/2963059407120511)

Thomas Fazi

Ikus ondoko taula:

La imagen puede contener: texto

Begiratu goiko taulan Espainiarako datuak (edo eta Frantziarakoak), eta gero irakur iritzi neoliberal huts hauek:

a) BERRIAn: Bruselak 750.000 milioi euroko funtsa proposatu du

b) GARAn: Bruselas plantea ayudas a fondo perdido a cambio de reformas

Hala Berria nola Gara, ‘gureak’ omen diren egunkari abertzaleak neoliberalismo hyper-ortodoxoaren bozgorailuak dira, haiek, eta berorien ‘kazetariak’, jakin zein ez!

Jakin ala ez jakin, that’s the question, Shakespeare revisited.

My motto (ene lema)


Espainierazko bertsioa:

RECOVERY FUND: Nos dan limosna y tenemos que dar las gracias.

Muchos me han pedido un comentario sobre la propuesta de Recovery Fund ** de la Comisión Europea que al escuchar a los europeístas locales sería un evento histórico segundo solo a la vuelta del Mesías (pero tal vez incluso mejor ya que la tendencia del Cristo creando vino de la nada se arriesgaría a generar inflación).

Seré breve, no solo porque hoy sea mi cumpleaños, sino porque sería hora de dejar de desperdiciar tinta en comentar las que son propuestas que luego tendrán que pasar al examen de los gobiernos durante las negociaciones que durarán meses y al final de los cuales de la propuesta inicial quedará muy poco.

Dicho esto, digamos que el plan de la Comisión Europea pase tal como está. ** Qué prevé exactamente? ** Hay cifras muy imaginativas. Desde ayer, todos los medios de prensa hablan de 172 mil millones de “ayudas” para Italia, 80 de los cuales incluso a fondo perdido. Dicen eso parece casi un buen trato. “Una lluvia de dinero”, la llamó el inefable Enrico Mentana

Lástima que en los documentos oficiales-que como se sabe los periodistas y europeístas de nuestra casa tienen serias dificultades para comprender – no se haga referencia a esta cifra. Los números que figuran en el documento de la Comisión Europea (pág. 51, [https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/assessment_of_economic_and_investment_needs.pdf](https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/assessment_of_economic_and_investment_needs.pdf)) son otros, como se puede ver en la imagen: Italia le corresponderían 153 millones, una cifra de todo respeto.

Como se puede ver en la siguiente columna, sin embargo, de esa cifra ** 96,3 mil millones deberán ser contribuidos… desde Italia **, que por lo tanto ** después recibirá la colosal suma de… 56,7 mil millones , lo que representa el (agárrense fuerte) 3,2 % del PIB spanish o**, untado durante cuatro años (0,8 % del PIB al año). Sin mencionar el hecho de que sólo una parte de esos 56,7 mil millones estará a fondo perdido y que, en cualquier caso, todos los flujos que vengan de la UE-tanto en forma de préstamo como de transferencia- estarán sujetos a ** condicionalidad y limitaciones de destino **. Y que probablemente no se hable hasta 2021.

Resumiendo: ** pocas decenas de millones netos (es decir, una fracción del PIB italiano) untados en varios años y con condicionalidad adjuntas **, frente a ** un colapso del PIB que para nuestro país se espera de doble dígito ** (-15 % sólo en el primer semestre de 2020 según la Oficina Parlamentaria Presupuestaria). Y mientras todos los países avanzados extra-euros anuncian planes de cientos de miles de millones de yenes / libras / dólares.

Y también hay quien se alegra.

Iruzkinak (1)

  • joseba

    Thomas Fazi

    LO SPIEGHINO: COS’È IL RECOVERY FUND DI CUI SI PARLA TANTO?

    https://www.facebook.com/thomasfaziofficial/posts/149225010038481

    Si sarebbe tentati di dire che anche questa volta la montagna europea ha partorito un topolino. Ma stavolta non c’è traccia neanche del topolino, se non nella mente allucinata del presidente Conte e di qualche soldatino pentastellato. Sostanzialmente, il Consiglio europeo di ieri si è limitato a confermare le misure già decise all’Eurogruppo di due settimane fa. In breve, sono stati definitivamente archiviati gli eurobond (o coronabond che dir si voglia) e ogni forma di mutualizzazione del debito (come avevamo ampiamente previsto), con buona pace di Conte, mentre rimane sul tavolo il cosiddetto Recovery Fund, cioè un fondo che dovrebbe teoricamente sostenere la ripresa economica degli Stati europei. Nello specifico, però, si sa poco o nulla di come funzionerà questo fantomatico fondo. E la ragione è che i governi continuano a rimanere molto divisi in merito, al punto che i capi di Stato non hanno ritenuto opportuno neanche fare una conferenza stampa congiunta al termine della riunione, come è consuetudine fare in questi casi.

    Quello che sembra certo per ora è che si tratterà di un fondo gestito dalla Commissione che avrà la capacità di emettere titoli basati su garanzie comuni fornite dal nuovo bilancio UE 2021-2027, cioè dagli Stati membri; a prescindere dalla forma ultima che prenderà questo strumento, dunque, i tempi saranno piuttosto lunghi: prevedibilmente inizierà ad essere disponibile non prima di gennaio 2021 (a meno che non si riesca a reperire qualche spicciolo da ciò che rimane del bilancio attuale). Non è ancora chiaro a quanto ammonteranno queste garanzie – e dunque quanto dovranno versare in più gli Stati –, né l’ammontare delle risorse che si prefiggerà di raccogliere sui mercati il fondo in questione (si è parlato di mille o millecinquecento miliardi ma sono ovviamente cifre buttate lì a puro scopo propagandistico; Wolfgang Münchau stima che alla fine la cifra sarà probabilmente nell’ordine di 200-300 miliardi).

    Ma il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha fatto sapere che «data la situazione riteniamo che un contributo alle risorse proprie attorno al 2 per cento del PIL [dell’UE], rispetto all’attuale 1,2 per cento, sia richiesto per due-tre anni». Va notato che l’Italia è un contributore netto, quindi potrebbe vedersi costretta a versare una cifra cospicua. Ciò detto, gli auspici della Commissione vanno presi cum grano salis: il fatto che a distanza di vent’anni da Maastricht il bilancio europeo continui a rimanere nell’ordine di un misero 1 per cento del PIL dà l’idea di quanto siano forti le resistenze da parte degli Stati ad aumentare significativamente il proprio contributo. Un modo per aggirare questo ostacolo potrebbe essere quello di chiedere agli Stati di offrire delle semplici garanzie (portando a un incremento “virtuale” del bilancio) invece di un versamento diretto.
    Un’altra cosa che possiamo dare praticamente per scontato è che il denaro raccolto dal fondo non verrà concesso agli Stati membri sotto forma di trasferimenti a fondo perduto, se non in minima parte, come sarebbe normale e come sognava qualche anima bella di casa nostra, ma sotto forma di prestiti, che dunque verrebbero conteggiati nel debito nazionale dei singoli Stati. Su quest’ultimo punto diversi paesi (Svezia, Austria, Germania, Olanda) hanno già detto chiaramente che accetteranno di dare il via libera al fondo solo se la logica sarà quella dei prestiti e non dei trasferimenti; se il fondo sarà limitato nel tempo e con un ambito di applicazione limitato (ovverosia con condizionalità sulla destinazione dei fondi); e se vi saranno rigorose condizioni di rimborso. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, giacché tutti i paesi – inclusa l’Italia – hanno accettato di muoversi nella cornice dei trattati europei, che vieta trasferimenti fiscali rilevanti tra paesi, ed in particolare dell’articolo 122(2) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che sancisce che «il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione» a uno Stato che si trovi in difficoltà finanziaria. Insomma, la proposta si colloca saldamente all’interno della logica del debito su cui è fondata l’architettura dell’euro.

    Come ha commentato causticamente Yanis Varoufakis: «Gli Stati membri dell’Unione pesantemente indebitati dovranno garantire di tasca propria dei prestiti che la Commissione europea poi estenderà agli Stati membri sotto forma di… prestiti. In breve, dei fondi presi in prestito dagli Stati membri che andranno ad aggiungersi al debito degli Stati in questione verranno veicolati attraverso la Commissione europea per far finta che l’Unione europea stia giocando un ruolo». Come detto, comunque, i tempi di attivazione di questo strumento, a prescindere dalla sua dubbia utilità, saranno piuttosto lunghi. E su tutta la risposta europea alla pandemia pesa l’imminente sentenza della Corte costituzionale tedesca che il 5 maggio è chiamata a esprimersi sulla legalità del programma di acquisto di titoli della BCE; probabilmente non è un caso che la Commissione si sia impegnata a presentare un piano per il Recovery Fund entro il… 6 maggio.

    Nel breve, dunque, le uniche risorse fiscali messe a disposizione degli Stati membri dall’UE rimangono il famigerato MES a “condizionalità limitate” (una bufala in quanto le condizioni possono essere riviste in qualunque momento dai creditori, come ho già spiegato in altra sede) e il cosiddetto fondo “anti-disoccupazione” SURE della Commissione europea per aiutare i paesi europei a sostenere (attraverso dei prestiti) i costi della cassa integrazione, che in teoria dovrebbe avere una dotazione «fino a 100 miliardi» ma nei fatti dipende dall’ammontare delle garanzie che gli Stati metteranno a disposizione, su base totalmente volontaria, e che dunque si rivelerà probabilmente l’ennesimo pistolotto ad acqua travestito da bazooka. Insomma, alla luce dei fatti, a cantar vittoria – come ha fatto ieri il governo italiano – bisogna essere ignoranti o in malafede. O entrambe le cose.

Utzi erantzuna

Zure e-posta helbidea ez da argitaratuko. Beharrezko eremuak * markatuta daude