RUI: zipriztinak

(1) Esclusiva lindipendenza, Anna Arquè: “Catalogna, avanti anche senza accordo con Madrid”1

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Anna Arquè per i media spagnoli è “il volto” dell’indipendentismo catalano. Quando le principali reti televisive iberiche hanno organizzato dibattiti sul tema delle istanze di autodeterminazione catalane o per discutere in diretta i risultati delle recenti elezioni plebiscitarie catalane etc., la Arquè è sempre la prima scelta mediatica. Anna rappresenta infatti al tempo stesso l’origine del processo, nato con l’iniziativa sua e di Josep Ximenis del primo vero atto unilaterale di autodeterminazione, ovvero le consultazioni comunali effettuate a partire dal 2009 in 554 comuni, sia la trasversalità politica ponendosi al di fuori e spesso in senso anche critico verso le principali formazioni politiche catalane. Anna, tra i principali ideatori e promotori dell’organizzazione internazionale per l’applicazione del diritto di autodeterminazione nella UE ed attuale portavoce ICEC per la Catalogna, è anche “il volto” dell’indipendentismo catalano in Scozia, Fiandre, Tirolo, Veneto e Paesi Baschi dove da anni collabora attivamente grazie al network ICEC.

Parliamo con lei delle recenti evoluzioni dei processi di autodeterminazione all’interno dello stato spagnolo, in Catalogna e nei Paesi Baschi dove il 5 giugno grazie alla collaborazione tra ICEC e Gure Esku Dago si sono svolti referendum sull’indipendenza in 34 comuni contemporaneamente.

L’anno scorso è toccato al comune “pilota” di Etxarri Aranatz, ora altri 34 comuni e circa ulteriori 70 annunciati per la primavera 2017. Quali sono le implicazioni di questi referendum popolari nella politica basca e potrebbero davvero essere l’innesco di una enorme partecipazione popolare al processo di autodeterminazione basco come accaduto in Catalogna?

Una delle caratteristiche principali dei referendum è la capacità di generare spazi positivi per discutere e collaborare per un obiettivo democratico comune. Persone di tutte le estrazioni sociali si ritrovano a cooperare insieme per fare in modo che la loro volontà possa uscire vincente dalla votazione. Questo costringe all’unità gruppi politici contrapposti ed a mettere la loro volontà del risultato referendario, in questo caso indipendenza, prima di tutto. Fondamentalmente ciò accade perché la pressione popolare non permette alcun altro atteggiamento.

Nei Paesi Baschi lo scenario politico indipendentista è suddiviso in due famiglie principali, o si è del PNV – Partido Nacionalista Vasco ( conservatore, democratico-cristiano ) o si appartiene all’area comunemente definita Izquierda abertzale (partiti e organizzazioni nazionaliste basche di matrice comunista, socialista o socialdemocratica), il che significa una società molto politicizzata e con molto poco margine per qualsiasi iniziativa indipendente che possa avere successo senza il supporto di una delle due famiglie politiche.

Con Gure Esku Dago (movimento sociale trasversale promosso da membri di entrambi gli schieramenti politici) che ha raccolto la sfida del coordinamento dei referendum popolari, si è ottenuto che i Baschi abbiano riconosciuto la necessità di creare uno spazio comune dove il diritto di autodeterminazione viene ad essere una vera e propria proposta politica per entrambi PNV e Izquierda Abertzale, grazie al lavoro comune e la determinazione delle loro basi politiche. Dal basso hanno iniziato a lavorare insieme per fare pressione verso i piani alti dei partiti politici per andare avanti con un referendum sull’indipendenza dei Paesi Baschi.

Finora, l’esperienza è stata positiva. Lenta, molto più lenta di come abbiamo organizzato ogni ondata di referendum in Catalogna, ma, soprattutto, con i risultati politici positivi attesi, che alla fine dei conti è l’obiettivo principale

I referendum popolari sono strumenti politici per ottenere scenari collaborativi sia sul piano comunale che nazionale, il risultato delle urne è importante, ma lo “stare insieme” per farlo, è la chiave principale che li rende di fatto un successo o meno.

Per la Catalogna hanno significato un chiaro punto di svolta, non so se stanno andando a significare la stessa cosa per i Paesi Baschi, perché hanno parallelamente anche altre questioni politiche importanti da affrontare: il processo di pace, la questione dei prigionieri politici, la candidatura di Otegi, etc.. Ma senza alcun dubbio sono riusciti a cucire le complicità necessarie tra gli attivisti di base e le persone in villaggi e città, inesistente o molto fragile sino ad ora, al fine di diventare una voce chiara e forte che chiede  l’esercizio di un referendum vincolante unilaterale sull’indipendenza per Euskal Herria.

Hai sempre difeso l’idea di un referendum unilaterale ufficiale. Oggi in Catalogna molte voci si stanno alzando ed allineando su questa tua posizione, ma i partiti in Parlamento sono d’accordo?

Sì, dal momento che il Coordinamento Nazionale dei referendum popolari catalani ha votato e approvato di avere come obiettivo di ottenere che il nostro Parlamento organizzi un referendum ufficiale vincolante per l’indipendenza catalana. E ci siamo quasi arrivati, ma come tutti sappiamo nel 2014 la Corte costituzionale spagnola ha dichiarato illegale il referendum del 9N e, purtroppo, il Presidente di allora Artur Mas ha accettato quella sentenza e non ha effettuato comunque il referendum istituzionale unilaterale della Generalitat catalana, ma ha trasformato la natura politica di quell’atto in una semplice partecipazione popolare al processo. I Catalani non hanno ancora autodeterminato se stessi. Tuttavia, l’autodeterminazione è ancora lo strumento più efficiente per raggiungere l’obiettivo di dichiarare la Catalogna uno Stato indipendente, lo sappiamo noi e lo sa lo Stato spagnolo.

Al momento la maggior parte dei membri del Parlamento catalano sono a favore dell’indipendenza della Catalogna, ma una “tabella di marcia” troppo lassista sta permettendo ai partiti politici tattiche per prendere tempo sull’obiettivo comune, perché? Poiché le diverse ideologie escono fuori quando invece di lavorare per un sì all’indipendenza si arriva a discutere le priorità delle politiche sociali come nel caso dell’approvazione del bilancio catalano, un vero e proprio campo di battaglia tra i partiti indipendentisti e la loro base associativa. La realtà è che non si può obbligare un partito politico a rinunciare alla sua primaria ideologia in nome di un concetto astratto di indipendenza, ovvero se questa non viene messa in atto sul tavolo con una specifica azione.

Ecco perché non ero felice che si chiamassero le recenti elezioni catalane un “plebiscito”, perché il risultato non è utilizzato come un SI per l’indipendenza, ma come un SI per preparare l’indipendenza, e qui amici miei, diversi criteri nascono e si ottiene che le persone appassionate si disanimino.

Ora che ognuno ha realizzato questo, si presenta finalmente una determinazione a dichiarare finalmente un referendum catalano senza l’accordo con lo Stato spagnolo, come a lungo richiesto da ICEC, e questo sentimento è sempre più forte e il Presidente dell’ANC ha deciso di chiedere alla base se sono d’accordo a chiedere ai partiti indipendentisti in Parlamento di cambiare la loro “tabella di marcia”. Diversi partiti politici hanno pure dato sostegno alla nostra richiesta e i grandi partiti si sono dimostrati aperti a rivedere le proprie posizioni. Molti accademici, giornalisti, etc .. stanno facendo una campagna in sostegno. Il prossimo settembre vedremo come progrediscono le cose, si spera, che per la primavera 2017 i Catalani finalmente possano esercitare il diritto dei popoli all’autodeterminazione.

Che differenza c’è tra una RUI (Referendum Unilaterale di Indipendenza) e una DUI (Dichiarazione Unilaterale di indipendenza)?

Il mandato di dichiarare l’indipendenza della Catalogna richiede di essere chiaro, diretto, attraverso il voto popolare ed il risultato. Una domanda binaria con un 50% + 1 dei cittadini d’accordo con l’opzione SI per dichiarare la Catalogna uno stato indipendente.

Una Dichiarazione di Indipendenza formulata dal Parlamento basata su un maggior numero di seggi indipendentisti ottenuti in normali elezioni autonome, elezioni che implicano molti risvolti ideologici e considerazioni personali rispetto alla opzione SI / NO per l’indipendenza, non è abbastanza forte. Inevitabilmente si apre un conflitto politico nel proprio paese e il clima sociale può diventare molto teso, inoltre senza una finestra internazionale sul processo sarebbe un semplice affare interno.

Il referendum, al contrario, coinvolge tutti nella campagna ovvero nella fase precedente a che i politici prendano il mandato per dichiarare l’indipendenza. Il dibattito è centrato esclusivamente sull’indipendenza e l’ultima parola è del popolo, di tutte le persone, senza dover votare un partito politico o un altro.

Ma di massima importanza è la partecipazione internazionale ottenuta nell’esercizio di un diritto universale come è l’autodeterminazione di un Popolo. Attori internazionali non avranno bisogno di essere a favore o contro l’indipendenza, o di essere a favore o contro una DUI, ma di essere semplicemente a favore di un processo democratico. Ottenere questa partecipazione è fondamentale in quanto dà la necessaria legittimità internazionale alla successiva applicazione del risultato positivo. Non è più un affare interno ma un processo internazionale. I referendum sono gli strumenti internazionali più efficaci per risolvere i conflitti politici locali.

Inoltre, non si può volere l’indipendenza solo in base al numero di posti ottenuti in parlamento, perché non vi è alcuna garanzia che in prossime elezioni o tra alcuni anni la maggioranza dei seggi non saranno acquisiti dalle forze unioniste. A quel punto?

Un referendum che sia il culmine di anni di iniziative e movimenti della base dà un senso di solidità maggiore rispetto ad un pugno di seppur rispettabili politici che vincono elezioni con annessi i loro interessi particolari.

Eppure, tutti noi vogliamo dichiarare l’indipendenza e saranno questi politici che avranno il compito di preparare tutto lo scenario legislativo per tale evento, ma ancora una volta, non per la nuova agenda del loro partito politico, sempre sotto il controllo delle tattiche di partito, ma perché sono i funzionari pubblici eletti per mettere in pratica il mandato popolare: E’ la gente che ha dato la propria parola su questo, i politici devono solo obbedire, senza scuse, senza ritardi. Viva il popolo che lo rende possibile!

(2) Referèndum Unilateral: acabem amb el procés i fem la independència2

Després de la retirada dels pressupostos i de la proposta de moció de confiança al setembre del president Puigdemont, ha tornat a sorgir amb força el debat sobre el referèndum d’autodeterminació, en aquest cas oficial, vinculant i unilateral. Si quedava algun dubte sobre la possibilitat de celebrar un referèndum pactat amb el govern espanyol, el resultat de les eleccions espanyoles del 26 de juny l’ha acabat d’esvair. La compareixença del jurista Antoni Abat i Ninet al Parlament va tornar a reactivar el debat en l’esfera de l’opinió publica i publicada. Políticament els primers que el van defensar van ser els Demòcrates d’Antoni Castellà seguits de la CUP. Finalment l’ANC consultarà les seves bases sobre la possibilitat de tornar-lo a exigir el proper 15 i 16 de juliol.

La proposta s’ha trobat amb atacs furibunds provinents de dos fronts molt diferents, tot i que han coincidit amb alguns dels arguments. D’una banda, la base popular defensora de la DUI el considera un pas enrere i està convençuda que no es podrà dur a terme. D’altra banda, tant des del món dels Comuns com des d’una part del món convergent, se’l rebutja amb l’argument que aquest tipus de referèndum ja s’ha fet i que només seria una repetició del 9N. En aquest cas, no el contraposen a una DUI atès que aquesta ni està al full de ruta del govern i de Junts pel Sí per aquesta legislatura, ni els Comuns l’han defensat mai.

Però per valorar l’oportunitat de la proposta cal tenir clar primer quin és el full de ruta actual. Així, la resolució parlamentària del 9N del 2015 aprovada amb els vots de Junts pel Sí i de la CUP no es compromet a una declaració d’independència en aquesta legislatura, sinó que només declara la voluntat d’inici de negociacions per fer efectiu el mandat democràtic de creació d’un estat català independent i es compromet a tramitar les lleis de procés constituent, de seguretat social i d’hisenda pública. La resolució també preveia no supeditar-se al tribunal constitucional i només complir aquelles normes emanades del Parlament. Però aquest segon punt es va incomplir de seguida, i el govern i el Parlament continuen recorrent les decisions del tribunal constitucional.

D’altra banda, en seu parlamentària el president Puigdemont ha reafirmat que no està prevista una declaració d’independència aquesta legislatura, i que el seu mandat consisteix en deixar el país a les portes de la independència, preparant les estructures d’estat i les lleis esmentades. En acabar la legislatura de 18 mesos (aproximatius) es convocarien eleccions constituents. El nou Parlament redactaria la constitució catalana i només després del referèndum constitucional, si aquest es guanya, es procediria a proclamar la independència.

La proposta del RUI

Des del meu punt de vista la introducció d’un referèndum oficial i vinculant sobre la independència clarificaria i reforçaria aquest full de ruta. L’actual té un problema fonamental i és que la ruptura es fa pivotar al voltant de l’aprovació de la Constitució Catalana. A banda d’un fet insòlit en els processos d’independència (només cal recordar que la constitució dels Estats Units es va aprovar 13 anys després de la declaració d’independència), i d’introduir una font de confusió en la voluntat popular (es votarà sí perquè agrada la constitució o perquè és l’única manera d’aconseguir la independència?),  no resol cap dels problemes dels que s’acusa el referèndum unilateral. Tots sabem que Espanya no reconeixerà cap d’aquests passos i per tant el referèndum de la Constitució serà tan il·legal des de la seva perspectiva com el d’independència.

En canvi, si el primer acte de ruptura i d’aplicació de la nova legalitat catalana és el referèndum sobre la independència, posem al centre el fet democràtic de l’autodeterminació, l’expressió de la lliure i genuïna voluntat del poble respecte a l’estatus polític de la seva nació. Els referèndums han estat l’evolució natural de l’exercici pràctic d’aquest dret en les darreres dècades. Com explica el jurista Antonio Cassese a la seva obra Self-Determination of Peoples, l’existència del dret d’autodeterminació en el cas de les repúbliques bàltiques era claríssima perquè l’annexió soviètica de 1940 havia violat el dret internacional amb l’ús de la força, però tot i així, i malgrat haver fet declaracions de restauració de la independència l’any 1990, totes tres repúbliques van acabar fent referèndums sobre la independència (Lituània el febrer del 1991, Letònia i Estònia el març del 1991). Només després d’aquests referèndums va arribar el reconeixement internacional.

En el nostre cas, el referèndum es podria fer després de l’aprovació de la llei de transitorietat jurídica. Aquesta llei, proposada per Viver i Pi Sunyer, regula com es passa d’un règim legal a l’altre, quins drets fonamentals seran d’aplicació, en quins casos es continuarà aplicant provisionalment la legislació prèvia, i en quins casos es farà una regulació provisional nova, en forma de llei o decret-llei (hisenda, seguretat social…), quina oferta es farà de traspàs de funcionaris de l’estat al nou estat català independent, mantenint els drets adquirits i quins seran els règims parlamentari i judicial provisionals.

La llei donaria també el marc legal per a l’organització i celebració del referèndum. El referèndum seria la primera aplicació de la nova legalitat emanada del Parlament. Si el ‘Sí’ guanya superant el nombre de vots al ‘No’, es proclamaria la independència i tota la llei entraria en vigor. El govern de la Generalitat esdevindria el govern de la República Catalana. Un cop assegurat el funcionament de l’Estat en les seves funcions ordinàries, es convocarien les eleccions constituents, i el full de ruta continuaria tal com està previst ara amb la redacció de la Constitució de la República Catalana.

En definitiva, claredat i abandó del dilacionisme. És l’hora de les decisions definitives, d’acabar amb el procés i de fer la independència.

Funtsezkoa Autodeterminazio eskubidea da: Brexit eta autodeterminazioa

Gehigarria:

Referèndum unilateral, el pas endavant

La coneguda com a Via Escocesa és un cas paradigmàtic per veure com els interessos partidistes, acomodats en el fals discurs del “no podem perquè Espanya no ens deixa”, han situat erròniament la conseqüència: el pacte amb l’Estat britànic, com a tret definitori, negant la veritable rellevància política del fet que el causa: la disposició unilateral del govern escocès. Aquesta unilateralitat de la Via Escocesa –explicada a bastament per l’ICEC (International Commission of European Citizens), per exemple, a la Universitat Catalana d’Estiu, amb veus tan autoritzades com ara el ministre d’Afers Estrangers del govern escocès i el portaveu del govern a Westminster, entre d’altres– va ser el motiu fonamental que va empènyer la necessitat negociadora del Regne Unit i esborra la tan enganyosa premissa, utilitzada a bastament per polítics independentistes, que diu que si els escocesos van fer el referèndum va ser gràcies als bons dels anglesos. Res més lluny de la realitat: el referèndum es va fer gràcies als escocesos i al fet que per a ells l’únic pla B era el pla A.

Sasi-argudio berberak Euskal Herrian!

 


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