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Albisteak:

Mosler sulla stampa: “l’Adige” 14 maggio 20152

Intervista a Warren Mosler di #Mmt su @LeftAvvenimenti in edicola da oggi3

 

Lanak, italieraz:

Come uscire dalla crisi secondo ‘Mosler’4

Moneta Complementare – Austerità e Lavoro5

Gehigarria:

Come eliminare la piaga economica, civile e sociale della disoccupazione di massa. Come creare un nuovo modello di coesione sociale nel quale l’energia dello Stato sia posta al servizio delle persone. Come realizzare una società migliore, basata su azioni di cooperazione e collaborazione, in cui vi siano prosperità e benessere a favore di tutti. Questa è una sintesi dell’intervista che l’economista statunitense Warren Mosler ha deciso di concedere in occasione del Festival Culturale per la Cooperazione “Officina Futuro” svoltosi a Milano il 29-30-31 gennaio 2015 e per il quale egli ha inviato un messaggio di saluto. Warren Mosler è l’ideatore della Mosler Economics Modern Money Theory (MEMMT), o Teoria della Moneta Moderna, una scuola economica che si pone all’avanguardia nell’àmbito degli studi accademici di economia.

SALUTO DI WARREN MOSLER PER IL FESTIVAL CULTURALE DELLA COOPERAZIONE

Warren Mosler: Io personalmente, e a nome delle migliaia di attivisti e sostenitori che operano per la Teoria della Moneta Moderna in tutta Italia, voglio porgervi il benvenuto a questo Festival di speranza e di ispirazione. La Teoria della Moneta Moderna vi offre la possibilità di capire l’economia e di comprendere quanto la piena occupazione in un’economia che tenga principalmente in conto il valore della vita umana sia una condizione naturale e ottenibile immediatamente. La tragedia umana, economica che sta subendo l’Italia in questo periodo non è affatto una condizione naturale bensì un vergognoso abominio direttamente provocato da una serie di atti politici che possono a giusto titolo essere definiti crimini contro l’umanità.

IL RUOLO DELLA SOCIETÀ CIVILE

Francesco Chini: Warren, cosa pensi che la società civile possa fare per poter superare questa situazione di crisi economica e sociale che stiamo vivendo?

WM: Superare l’odierna situazione di crisi è possibile, basterebbe semplicemente attuare una politica di espansione del deficit pubblico al fine o di ridurre le tasse o di incrementare il livello degli investimenti effettuati dallo Stato nell’àmbito dei servizi pubblici oppure di promuovere un abbinamento di questi due obiettivi insieme di modo tale da riuscire a ripristinare quelle condizioni e di piena occupazione e di prosperità che erano già state conosciute dall’Italia in passato. Si tratta di traguardi molto facili da raggiungere in realtà, visto che sarebbe sufficiente che il parlamento votasse in favore di una politica fiscale espansiva. La difficoltà, però, consiste nell’arrivare alla comprensione che il passo giusto da compiere è questo, che i suoi effetti saranno quelli promessi e che tutto funzionerà come previsto.

COSA POSSONO FARE I VOLONTARI INSIEME AI POLITICI

FC: Secondo te i volontari e le associazioni che operano nell’àmbito della società civile cosa possono e devono chiedere a un determinato politico e, in generale, alla classe politica?

WM: Bisogna che i politici esaminino più da vicino la Teoria della Moneta Moderna e magari s’incontrino con gli attivisti per capire come funziona l’economia, quale sia la causa reale della disoccupazione e cosa sia possibile fare per porre termine al fenomeno della disoccupazione e ripristinare la prosperità per tutti gli esseri umani. È completamente innaturale che persone, che sarebbero capaci e disponibili a lavorare, siano costrette ai margini della società poiché a loro è impedito di contribuire all’economia e al benessere della società. Si tratta di una situazione creata artatamente per mezzo di politiche sbagliate e pertanto è importante che la gente comprenda che bisogna votare per dei legislatori che capiscano che cosa fare e, in particolar modo, qual’è il passo avanti da fare onde invertire l’attuale stato di cose il prima possibile.

COSA POSSONO FARE I POLITICI

FC: Che cosa i politici possono fare e cosa devono migliorare?

WM: I politici devono capire che cosa significhi il denaro, che si tratti di euro, di lire, di dollari, di yen, come funziona la politica monetaria, che cosa succede operativamente quando lo Stato spende e quando lo Stato tassa e quindi che cosa avviene quando la spesa pubblica è più elevata rispetto al gettito fiscale, che cosa genera i depositi bancari e da dove deriva la disoccupazione. Una volta compreso tutto questo, allora è possibile intraprendere passi semplici che invertano la situazione attuale completamente.

SCONFIGGERE LA DISOCCUPAZIONE È POSSIBILE

FC: A tuo parere come mai è così difficile, non solo per i politici ma anche per la società civile in termini più generali, comprendere che si possa e si debba superare definitivamente la piaga economica, civile e sociale della disoccupazione di massa?

WM: Analizzando con attenzione il piano di studi che attualmente è insegnato in tutti i gradi d’istruzione si scopre come esso si basi integralmente sul periodo in cui vigeva il sistema aureo, ossia quando l’obiettivo principale dell’intera economia non era di ottenere prosperità per tutti bensì consisteva nell’accumulare oro a favore dello Stato indipendentemente dai costi sociali che gravavano sulla popolazione a causa di tale sistema. In altre parole tutta la politica economica, a prescindere dall’onere che questa costava ai cittadini, era elaborata e giudicata in base a quanto più oro riuscisse a venire accumulato a favore dello Stato. Sebbene il sistema aureo non esista più nei fatti da quasi un centinaio di anni, i piani di studi e le politiche pensate nell’ottica di quel periodo economico continuano a sussistere. Non è ancora avvenuto, cioè, quel cambio di forma mentis necessario per comprendere come oggi l’economia possa servire a migliorare la vita delle persone e non ad accondiscendere alle richieste che gli Stati fanno come se dovessero accumulare sempre più oro. Richieste che oggi sono completamente prive di senso, visto che attualmente non siamo più nella necessità di dover accumulare oro.

L’EUROZONA COME CAUSA DI RIVOLTE SOCIALI

FC: Cosa pensi della struttura economica e politica dell’eurozona? Questo tipo di organizzazione è in grado di aiutarci a superare la crisi oppure non?

WM: Non è in grado. Anzi, io ritengo che questo tipo di organizzazione peggiori la crisi. E, man mano che si va avanti, la situazione peggiorerà sempre di più. Prendiamo come esempio questa politica di Quantitative Easing che serve per assicurarsi sia che gli Stati non dichiarino default e che i tassi d’interesse si mantengano bassi sia nel contempo che l’economia rimanga stagnante e la disoccupazione resti elevata. In altre parole siamo sull’orlo di sommosse e rivolte sociali poiché gli europei vengono sospinti sempre di più verso la disperazione! Così, se in teoria Bruxelles può mostrare di aver ottenuto dei numeri positivi su un bilancio, all’atto pratico si tratta invece di un crimine contro l’umanità! Ciò che lì si sta perpetrando è un disastro, una catastrofe. E non vedo cambiamenti positivi.

IL QUANTITATIVE EASING PEGGIORERÀ LA SITUAZIONE

FC: Qual’è la tua opinione sulle recenti dichiarazioni, rilasciate dal governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi, riguardanti l’avvio di un programma europeo di Quantitative Easing?

WM: Si tratta di un atto sedizioso, sia nel caso in cui Draghi stia deliberatamente cercando di danneggiare l’eurozona, sia qualora egli probabilmente non si renda di fatto conto di come davvero funzioni la politica monetaria. Gli do il beneficio del dubbio. Quando una banca centrale s’impegna nell’acquisto di titoli, che siano Btp o Cct, tale acquisto è né più né meno che un deposito in euro presso questa banca centrale. Quando si acquista un Cct, ad esempio, invece che tenersi degli euro su un conto bancario commerciale si hanno degli euro su un conto presso la banca centrale chiamato Cct. Si ricevono degli interessi ed è possibile riottenere il denaro depositato come fosse un qualsiasi altro processo bancario. Quando le banche centrali acquistano i tuoi Cct, e quindi ti pagano in euro, succede che il processo appena descritto s’inverte. Invece di avere un deposito chiamato Cct presso la banca centrale, ti viene restituito il deposito che avevi originariamente. Perciò il Quantitative Easing non fa altro che trasferire degli euro da un conto bancario, che si chiama Cct, a un altro conto bancario che si chiama semplicemente conto bancario commerciale. Non cambia alcunché. Eccezion fatta che il tasso d’interesse sui Cct, o sui Btp, che è di una certa entità, viene perso in quanto non si riceve più. Di conseguenza questa politica di acquisto di titoli toglie il reddito da interesse dall’economia. Non molto, ma un po’ di soldi li rimuove. In più c’è anche il problema dei pagamenti degli interessi da parte degli Stati: se questi soldi potessero essere spesi altrove allora andrebbe tutto bene. Ma invece no! Difatti si richiede che questi soldi vengano usati per abbassare il deficit pubblico e così i pagamenti effetttuati dal settore pubblico verso il settore privato semplicemente si riducono. Pertanto, il settore privato riceve meno pagamenti a livello di interesse e dunque si possono effettuare meno spese, ci sono meno introiti, meno fatturato e meno posti di lavoro da offrire. Insomma, con tutti questi fattori che vengono a ridursi, si può concludere che tale politica non faccia altro che peggiorare le cose.

IL QUANTITATIVE EASING È UN’ULTERIORE TASSA

FC: Quindi stai in pratica affermando che il Quantitative Easing sia una tassa imposta sul settore bancario commerciale?

WM: È imposta sull’intera economia poiché l’intera economia perde introiti da interesse a vantaggio delle banche centrali. Le banche centrali acquistano titoli di Stato i quali equivalgono a depositi che rendono un interesse e così queste di fatto stanno guadagnando tale interesse, pagato dai governi tra l’altro. Questi interessi vengono di fatto sottratti al settore privato. E dunque succede che le entrate per interessi, guadagnati dalle banche centrali, salgono e alla fine le banche centrali – che dovrebbero far ritornare questo denaro ai governi – semplicemente non lo fanno. Perciò esse ricevono denaro che poi non viene però più speso. Di conseguenza si riduce la spesa totale sui beni e i servizi nell’economia, ed per questo che si tratta proprio di una tassa come dicevi tu. Le tasse rimuovono denaro dall’economia parimenti a come il Quantitative Easing porta via denaro all’intera economia. E così questo denaro non è più spendibile. Pertanto, in ultima analisi, si può concludere che il Quantitative Easing funzioni esattamente come una tassa.

GLI EFFETTI DEL QUANTITATIVE EASING SULLE PROSPETTIVE ECONOMICHE

FC: Secondo te quale può essere l’effetto del Quantitative Easing europeo sull’accesso al credito, sulla concessioni di prestiti e sulla possibilità di ottenere nuovi mutui?

WM: La maggior parte, delle opportunità di ottenere dei prestiti, si basa sulla possibilità: tu chiedi un prestito perché hai un fatturato in espansione, perché lavori di più, perché hai nuovi prodotto e quindi perché hai più possibilità di fare utili. Possibilità significa, dunque, la possibilità di vendere qualcosa. In altre parole, l’economia moderna si basa per l’appunto sulle vendite: se le vendite aumentano ci sono più posti di lavoro e ci sono maggiori possibilità di avere accesso a prestiti e mutui. Quando invece togli denaro dall’economia, come avviene con il Quantitative Easing, le vendite non salgono e anzi rimangono stagnanti. Sicché le prospettive di investire e di conseguire maggiori vendite di beni e servizi si riducono. Perciò, sebbene i tassi d’interesse si abbassino, i fatturati che sono necessari per poter guidare le possibilità d’investimento non ci sono più e così gli investimenti di fatto si abbassano.

ALEXIS TSIPRAS E IL PAREGGIO DI BILANCIO

FC: Che cosa pensi delle dichiarazioni espresse dal politico greco Alexis Tsipras in merito alla necessità di pareggiare il bilancio preventivo onde poter essere più forti politicamente in Europa?

WM: Ciò non dà speranza alle persone che devono vivere lì. Certo, la realtà in Europa potrebbe anche essere che si guadagni forza politica cercando di pareggiare il bilancio preventivo, ma questo a scapito dello standard di vita di tutti coloro che vivono nel Paese. Allora, che tipo di sistema vogliamo introdurre in un Paese se con questo sistema di pareggio sui conti pubblici s’impoverisce la popolazione? Che senso ha tutto questo? Ancora una volta ci ritroviamo di fronte a una tragedia e a un grave crimine umanitario perpetrato contro tutti gli europei.

LE RICHIESTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA ALL’ITALIA

FC: Qual è la tua opinione sulle richieste, recentemente espresse dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia, di abbassare ulteriormente il deficit pubblico onde conseguire una situazione di budget strutturale migliore?

WM: La domanda che uno si deve porre è: perché? Noi sappiamo benissimo che, quando si riduce la spesa pubblica e si aumentano le tasse, allora la disoccupazione sale, l’economia peggiora, la miseria aumenta e pertanto ci si ritrova davanti a un crimine ancora più grave contro l’umanità! Perché? Perché fare una cosa di questo genere? Qui o si è erroneamente guidati, e quindi siamo di fronte a crassa ignoranza pura e semplice, oppure è sedizione e qualcuno sta deliberatamente cercando di distruggere l’Italia. Si può lasciare il beneficio del dubbio anche in questo caso, in quanto è possibile che sia enorme ignoranza, ma per quanto mi riguarda di sicuro non avrei alcunché da obiettare nei confronti di qualcuno che sostenga che si tratti di atti sediziosi. A questo punto ciò che sta accadendo ha tutta l’aria di una sedizione, anche alla luce del fatto che oggi sono disponibili sufficienti conoscenze di come l’economia funzioni e vi è un sufficiente numero di modelli econometrici utili a dimostrare cosa tali politiche economiche provochino alle condizioni di vita di coloro che oggi risiedono in Italia.

LANCIARE UN ULTIMATUM ALL’UNIONE EUROPEA

FC: L’Italia unisce al proprio clima, generalmente temperato, tutta una serie di risorse uniche al mondo dal punto di vista artistico e culturale. Quale dovrebbe essere la prima cosa da fare onde proteggere e valorizzare tali sue caratteristiche peculiari?

WM: Ebbene, la prima cosa davvero da fare è togliere quelle catene che strangolano l’Italia ossia questi programmi di austerità imposti dall’Unione Europea, e ho proposto alcuni modi per farlo. Ad esempio una proposta da me elaborata è quella di sottoporre un ultimatum all’Unione Europea in cui si richieda alle istituzioni comunitarie questo: avete trenta giorni per rilassare il limite sul deficit pubblico dal tre per cento all’otto per cento altrimenti l’Italia se ne andrà e cercherà di portare autonomamente avanti ciò che in questo momento le viene impedito di fare. Allora, se l’Unione Europea vuole passare da un massimo di tre per cento di deficit a uno dell’otto per cento, l’Italia potrebbe espandere i servizi pubblici, ridurre le tasse e personalmente suggerisco di ridurre l’IVA possibilmente eliminandola del tutto. In questo modo il tasso di disoccupazione passerebbe dall’attuale tredici e passa per cento al sei-sette per cento, e avreste una società dove si potrebbe sperare in una prosperità maggiore e in cui vivere meglio. Qualora l’Unione Europea rifiutasse, l’Italia dovrebbe dunque decidere se rimanere nell’Unione Europea, e continuare a patirne le conseguenze finché siffatte politiche non vengano cambiate, oppure se magari ritornare a usare la lira e in tale caso si tratterebbe in realtà di un processo molto semplice da effettuare visto che sarebbe sufficiente diramare un annuncio governativo nel quale si comunichi che si ritorna a pagare le tasse e a spendere in lire senza bisogno di effettuare alcuna conversione forzosa. Semplicemente, la politica fiscale verrà calcolata in lire. Così sarebbe già possibile ripristinare una certa prosperità. Il rischio di ritornare alla lira è che, se a quel punto vi ritrovaste con il medesimo tipo di leadership politica che c’è ora con l’euro, tale leadership potrebbe scelleratamente riconfermare i precedenti annunci effettuati riguardo al bilancio preventivo e quindi invece di passare dal tre all’otto per cento di deficit vi ritrovereste a passare dal tre allo zero per cento. In un simile caso, passereste dalla padella nella brace e la situazione economica italiana diverrebbe persino peggiore dell’attuale. Riassumendo: bisogna capire se dare questo ultimatum all’Unione Europea onde passare dal tre all’otto per cento di deficit, con però un caveat ossia che per ritornare alla lira ci si deve assicurare di poter disporre di deficit quantomeno del sei-sette per cento altrimenti la situazione continuerebbe a peggiorare e tutto sarebbe stato fatto per nulla.

I PROGRAMMI LAVORATIVI DI TRANSIZIONE COME SOLUZIONE ALLA DISOCCUPAZIONE

FC: Quali modi sarebbe possibile trovare affinché un’amministrazione locale sia in grado di realizzare un programma lavorativo di transizione e così superare la piaga della disoccupazione endemica?

WM: Anzitutto mi si permetta di spiegare quale sia il processo che guida la disoccupazione verso l’alto o verso il basso e quale sia la modalità migliore per ridurre la disoccupazione (che come tu suggerivi potrebbe consistere in un’offerta lavorativa di transizione). Se l’Unione Europea dovesse permettere all’Italia di aumentare il deficit pubblico all’otto per cento in rapporto al PIL oppure se l’Italia lasciasse l’euro, ritornasse alla lira ed effettuasse in autonomia un aumento del deficit pubblico all’otto per cento, allora il settore privato ritornerebbe immediatamente alla prosperità. I fatturati aumenterebbero e gli imprenditori avrebbero bisogno di assumere gente. A quel punto il problema consisterebbe nel fatto che a nessuno piace assumere persone che siano state disoccupate da troppo tempo e per questo motivo è assolutamente essenziale fornire un’attività di transizione ai disoccupati – i quali sono per definizione ovviamente parte del settore pubblico, visto che se sei disoccupato di sicuro non fai parte del settore privato – al fine di effettuare una transizione dalla disoccupazione all’occupazione attraverso un programma lavorativo ideato a tale scopo e tenendo inoltre conto che in una simile situazione anche il settore privato mostrerebbe un atteggiamento di maggiore disponibilità nell’assumere persone. Sicché, il modo per far questo è che il settore pubblico offra un’attività lavorativa di transizione con un pagamento, ossia uno stipendio, che sia solo leggermente al di sotto (cioè quasi in linea) con il salario minimo del settore privato. Per mantenere facili i calcoli, poniamo che tale stipendio sia di dieci euro l’ora (o di dieci lire l’ora, nel caso di ritorno alla lira con conversione iniziale di un euro per una lira). A tutti coloro che siano disponibili e abbiano voglia di lavorare viene così offerta un’attività lavorativa finanziata dal settore pubblico e pagata dieci euro (o dieci lire) l’ora. Pertanto ciò che si verificherà è che chi era in precedenza disoccupato, e accetterà un lavoro di transizione, potrà così essere identificato e assunto dal settore privato effettuando quindi proprio quella transizione da disoccupazione a occupazione nel settore privato di cui parlavo poc’anzi. In altre parole stiamo praticamente riplasmando quella che è la situazione del cosiddetto“serbatoio”, o “riserva-cuscinetto”, contiguo al mercato del lavoro che Karl Marx chiamava “esercito industriale di riserva” ossia una moltitudine di disoccupati che potrebbe essere impiegata nel settore privato ma che il settore privato tende a non voler assumere. A causa di ciò, quando il ciclo economico cambia e si esce dalla contrazione ritornando a essere in espansione, è probabile che si verifichi tutta una serie di problemi e conflitti sociali che possono ingenerare pressioni inflazionistiche ben prima che il mercato della lavoro riesca a trarre vantaggio dalla nuova situazione economica e dunque che la disoccupazione possa ridursi conseguentemente. In ogni caso, permettere volontariamente l’accesso a un programma lavorativo di transizione a tutti coloro che siano disponibili e abbiano voglia di lavorare rende estremamente più semplice per il settore privato l’assunzione di persone in quanto diviene sufficiente pagarle di più, ad esempio dodici euro l’ora, onde traghettarle via dai programmi lavorativi di transizione e inserirle in un settore privato di nuovo economicamente in espansione. Questo è stato provato negli ultimi venti anni in varie parti del mondo, ottenendo in maniera sistematica esclusivamente successi, e per tale motivo si può affermare che siffatta soluzione si sia dimostrata efficace oltre ogni ragionevole dubbio. In sintesi, primo: il limite sul deficit va innalzato dal tre per cento all’otto per cento; secondo: fornire a chiunque sia disponibile e abbia voglia di lavorare l’accesso a un programma lavorativo di transizione, finanziato dal settore pubblico, onde aiutare la transizione dalla disoccupazione all’occupazione nel settore privato.

IL DIRITTO ALLA PROSSIMITÀ DEL LAVORO

FC: Hai mai sentito parlare della legge indiana intitolata al Mahatma Gandhi sul lavoro garantito rurale, ossia il “Mahatma Gandhi National Rural Employment Guarantee Act”? Uno tra i provvedimenti che mi hanno sorpreso previsti da questa legge è che a coloro, che possono aver accesso a questo tipo di programma lavorativo di transizione, viene assicurato il diritto alla prossimità del lavoro. In altre parole, il governo s’impegna a dare lavoro agli aderenti a tale programma entro cinque chilometri dal loro luogo di residenza. Che cosa pensi del diritto alla prossimità del lavoro e di una simile soluzione?

WM: Direi che ha senso. Ha senso in Italia, come ha senso in India con l’ampiezza delle regioni che compongono l’India per l’appunto. In Italia si potrebbe fare in una maniera leggermente diversa, vi è tutta una serie di proposte da questo punto di vista, alcune migliori e alcune peggiori, ma nessuna totalmente negativa. Ad esempio, ciò che io ho proposto per gli Stati Uniti d’America potrebbe essere valido anche per l’Italia, ossia dare la possibilità alle amministrazioni locali e regionali – o statali, come le chiamiamo noi negli Stati Uniti – di assumere, in un programma lavorativo di transizione finanziato dal governo centrale, le persone a questo minimo salariale di dieci euro (o dieci lire) l’ora di cui abbiamo in precedenza discusso. A condizione che gli stipendi non superino tale minimo salariale, si deve porre le amministrazioni nelle condizioni di poter assumere il numero più alto possibile di persone per questi lavori di transizione. Non sono previsti trattamenti particolari e non ci si deve aspettare un aumento di stipendio visto che si dovrebbe trattare di una occupazione di transizione senza una permanenza di lunga durata, al massimo uno o due anni, in quanto sarà in futuro il settore privato ad attingere da tale serbatoio le risorse umane semplicemente pagandole di più. In questo modo le persone sarebbero appunto in grado di trovare un posto di lavoro vicino a casa. Una volta fatto questo, qualora vi fossero ancora persone alla ricerca di una occupazione, vi è la possibilità di coinvolgere anche determinate associazioni senza scopo di lucro. Negli Stati Uniti vi sono organizzazione non-profit (così come ve ne sono in Italia) nelle quali è possibile fare attività di volontariato, ad esempio la Croce Rossa. Si potrebbe quindi far si che tali organizzazioni siano parte attiva di un programma lavorativo di transizione e ritengo che tra queste tre entità, ossia regioni, città e mondo dell’associazionismo, chiunque sia in cerca di un’occupazione possa venire assunto risultando così potenzialmente attrattivo per il settore privato poiché il settore privato sarà in espansione per via del fatto che l’economia si ritroverà in una situazione ottimale a livello di domanda aggregata.

PROGRAMMI LAVORATIVI DI TRANSIZIONE E ASSOCIAZIONI DEL TERZO SETTORE

FC: Quale parte, nell’ambito di questo programmi lavorativi di transizione, possono avere le associazioni del terzo settore?

WM: Attraverso un programma finanziato dallo Stato, le associazioni del terzo settore potrebbero appunto assumere le persone in cerca d’impiego e pagarle dieci euro (o dieci lire) l’ora. In altre parole, non è necessario avere vasti programmi, centralizzati a livello nazionale, di assunzione per queste persone bensì è più opportuno che le amministrazioni regionali, le autorità cittadine e le organizzazioni non governative siano finanziate dallo Stato affinché esse stesse assumano le persone in lavori di transizione. Se, per far assumere persone in un programma lavorativo di transizione, si finanziano le amministrazioni regionali, le autorità cittadine e le organizzazioni non governative che già esistono, si evita di creare ulteriore burocrazia. Nel corso del tempo, e con la ripresa dell’economia, queste persone verranno riassorbite in impieghi normali nel settore privato.

IL RUOLO DELLO STATO NELL’AIUTARE L’ASSOCIAZIONISMO

FC: Ad esempio, le associazioni ecologiste potrebbero avere un ruolo nell’ambito dei programmi lavorativi di transizione attraverso il finanziamento pubblico di attività quali la pulitura delle spiagge oppure dedicandosi alla risoluzione di problemi ecologici come già prospettato nella proposta di “green job” elaborata dal tuo collega Mathew Forstater.

WM: Sì. Devono ovviamente essere organizzazioni non governative, senza scopo di lucro e ufficialmente riconosciute, che promuovano programmi di pubblica utilità e vanno poste in condizione di poter effettuare assunzioni a questo minimo salariale di 10 euro (o 10 lire) l’ora finanziato dallo Stato. In questo caso si tratterebbe però di assunzioni a tempo, per così dire, in quanto al settore privato basterebbe offrire buste paga più alte per attrarre questi lavoratori verso di sé. Per cui, se si vuole che tali organizzazioni dispongano di uno staff adeguato in modo permanente, il sistema migliore sarebbe di fare queste assunzione attraverso la normale procedura utilizzata per reclutare i lavoratori da impiegare nel settore pubblico ossia con dei concorsi specifici atti allo scopo. Utilizzare degli impieghi di transizione per aiutare l’opera di queste organizzazioni sarebbe comunque utile, sia per le organizzazioni stesse che per i lavoratori. I lavori di transizione non vanno però utilizzati come sostituti dei normali impieghi del settore pubblico. Non si vuole cioè rimpiazzare la polizia con gente che guadagni 10 euro l’ora, ad esempio. Il settore pubblico deve invece essere propriamente messo in condizione di disporre di tutte le risorse, e in particolare di tutte le risorse umane, necessarie a perseguire l’interesse generale nella maniera migliore possibile.

LA TUTELA DEI BENI CULTURALI E DELLE INFRASTRUTTURE PUBBLICHE

FC: In Italia vi sono importanti problemi causati dalla carenza di risorse umane impiegate nel settore pubblico. Ad esempio vi sono enormi difficoltà per quanto riguarda la tutela del nostro patrimonio artistico da parte dello Stato. Questi programmi lavorativi di transizione possono risultare utili e servire anche alla tutela del nostro patrimonio storico e artistico?

WM: Non li userei per questo scopo. Invece, in questo caso, bisogna molto più semplicemente assicurarsi che tutti i dipartimenti e i settori che si occupano di effettuare la manutenzione di queste infrastrutture pubbliche siano sempre forniti in modo permanente di tutte le risorse anche umane che servono per ottemperare a questo tipo di attività. In altre parole, è sufficiente programmare una corretta allocazione delle risorse pubbliche così come ad esempio avviene per finanziare il funzionamento dell’apparato militare e del sistema giudiziario. Si può così disporre di un ministero, o di un dipartimento, che sia adeguatamente finanziato e a cui sia assegnato tutto il personale necessario alla tutela del beni culturali. Prendiamo come esempio L’Aquila. Si tratta di una città che va completamente ricostruita. Per fare ciò sono necessari finanziamenti e personale specializzato. I lavori di transizione non sono indicati, invece in questo caso ci vuole del personale composto da professionisti che vi si dedichino a tempo pieno.

LO STATO COME STRUMENTO DI COOPERAZIONE

FC: Quale può essere il ruolo della cooperazione e della collaborazione tra cittadini, associazioni e società civile nel risolvere la crisi?

WM: Esiste una metafora che riguarda lo Stato o, meglio, un modo per definire lo Stato come quell’organismo nato apposta per svolgere azioni di cooperazione e di collaborazione. Che si parli di pubblica amministrazione a livello locale oppure nazionale, ci deve essere uno sforzo di collaborazione e partecipazione che investa l’intera società. Si tratta di quell’impegno cooperativo su cui la nostra società si fonda, e pertanto è necessario incentivare maggiormente la collaborazione e la partecipazione delle persone in maniera che si accresca la loro conoscenza e consapevolezza dei temi di interesse generale e delle posizioni espresse da ciascun candidato politico e che possano essere poste nelle condizioni migliori per prendere delle decisioni con cognizione di causa.

MIGLIORARE IL SETTORE PUBBLICO

FC: Perché la funzione degli Stati viene così stigmatizzata oggi?

WM: Diciamo che io stesso parlo male degli Stati, stigmatizzo tutta una serie di aspetti che non vanno. Si tratta di un processo in evoluzione in quanto gli Stati sono necessari, altrimenti ritorneremmo in una società come ad esempio quella somala, dove non esiste un organismo centrale delegato a mantenere l’ordine e che permetta alla gente di rendersi produttiva senza aver paura di subire atti di violenza. Lo Stato serve a organizzare le forze di pubblica sicurezza e di difesa, i trasporti e l’istruzione. Pensiamo anche alla sanità pubblica, ad esempio. Questi servizi sono necessari, non si può farne a meno. Ritengo che il meglio che si possa fare è cercare di agire in modo da essere più partecipativi in tutti i processi organizzativi e in tutti gli àmbiti della gestione della cosa pubblica affinché con l’assennatezza e attraverso l’implementazione di incentivi a tutti i livelli sia possibile ottenere che il buon senso e l’interesse generale divengano le forze alla guida del settore pubblico. Mi rendo ben conto che non sia un obiettivo facile da conseguire. È un traguardo che non solo è difficile da raggiungere al giorno d’oggi bensì è da millenni che si rivela essere un’impresa ardua, quindi probabilmente dovremo persistere a combattere per migliorare la situazione ancora per lungo tempo.

IL RUOLO DEGLI ATTIVISTI DELLA TEORIA DELLA MONETA MODERNA

FC: Quale pensi che sia il ruolo degli attivisti della Teoria della Moneta Moderna e, in particolare, quale pensi sia lo scopo principale che gli attivisti debbano porsi ora?

WM: Il ruolo della Teoria della Moneta Moderna è duplice. Anzitutto, espletare un servizio d’informazione. Per cui, attraverso la partecipazione ai gruppi della Teoria della Moneta Moderna, è possibile prima capire come l’economia funzioni e poi diffondere a proprio volta questo conoscenza ad altre persone. È una verità autoevidente che il processo di conoscenza proceda sempre in una sola direzione, ossia verso l’incremento della consapevolezza, senza mai tornare indietro. Una volta che si è compreso, che è impossibile che un governo possa operativamente rimanere senza soldi, non si torna indietro. Non si ritorna più a pensare come prima, cioè se passano due settimane, o un mese, non si ritorna più sui propri passi. Quando si capisce che il deficit pubblico è il risparmio privato, ad esempio, non è che passato un mese si ritorni a credere che non lo sia, anche alla luce del fatto che noi forniamo un punto di vista sufficientemente profondo su questi temi e in modo particolare sul reale funzionamento dell’economia. Poi si può spargere la voce, e ad amici e a parenti e alla propria famiglia, cosicché sia possibile valutare, attraverso quelle conoscenze di economia che noi diamo, ogni candidato a incarichi di pubblica responsabilità sotto una nuova prospettiva. E, sulla base di queste nuove informazioni, capire quali siano – e quali non siano – i candidati che sono i più adatti a plasmare la società in cui noi avremmo piacere a vivere. E quindi sostenere i candidati che siano in grado di organizzare il settore pubblico al meglio nella maniera che noi vorremmo.


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